Un bicchiere per due. Vigneti delle Dolomiti Bianco, Manna 2005 / Franz Haas

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

Una bottiglia esce a sorpresa dall’uovo di Pasqua, a volte capita: lui la vede e la riconosce, più o meno. Solo per un attimo si chiede come e per quali imperscrutabili passaggi potesse essere arrivata sin lì, confusa tra altro vino, probabilmente nemmeno tanto felice di condividere lo scaffale, se mai una bottiglia possa cadere preda di un’angoscia sottile, esito di una crisi di identità. Chissà perché affiorò nel suo animo un insospettabile altruismo, una premura eccessiva, specie se riservata ad una semplice bottiglia di vino. Semplice si fa per dire, forse la bottiglia, nel senso del vetro, e magari nemmeno quella, ma il vino no, meritava tutta la sua considerazione, non foss’ altro perché dedicato a una persona, a una donna, una moglie. Manna: che poi un che di dono, un che di mistero lo porta pure con sé, in quel nome. Piovuta dal cielo, insomma.

Lei sa che quel giallo oro dona un sacco ai suoi occhi blu. In fondo nel vino le piace cercare qualcosa di tattile, per non dire di fisico: sì è vero anche con gli uomini succede così. E le è piaciuto il profumo del tappo, intensamente agrumato, eccitante. Come la luce che emanava dal suo bicchiere, i lampi verdi, vividi. Guarda lui che porta il vino al naso: ti prego, fai che non cominci a tirarsela da sommelier. In effetti si sentivano gli agrumi dolci, forse cedro e pompelmo, anche canditi, tracce di miele e pesca gialla, qualcosa come le caramelle Elah, qualcos’altro di foglia grassa. Ma lui non disse niente. Si limitò ad osservare che quel vino le somigliava: indugia sulla dolcezza, per poi improvvisamente virare su note acidule e fresche. Lei esitò un attimo, come perplessa se intendere tutto ciò come un complimento, ma si arrese a un piccolo brivido quando lui le confessò di essere affascinato dai suoi scarti imprevedibili e pimpanti.

Bevvero insieme, quasi con un cenno di intesa. Poi si assentarono sui rispettivi pensieri. Lui ricordava che il Manna è un uvaggio, percepiva una certa complessità ma non sapeva ricondurre le sensazioni a questo o a quel vitigno, anzi forse avrebbe preferito non porsi nemmeno il problema. Gli piaceva quella dolcezza da tostatura, la freschezza del melone, la rotondità della mela renetta; si rammaricava di una lunghezza disunita, di belle note idrocarburiche abbandonate sul fine sorso, quasi che il riesling fosse arrivato solo, al traguardo. Ma soprattutto gli piacque una suggestione che aveva avvertito sin da subito: guardò lei che intanto aveva bevuto ancora, tentata dalle sfumature di ananas e a sua volta irretita da un qualcosa di indefinibile, che le era noto, ma che non sapeva collocare, ritrovare.

Lui si perse nei suoi occhi blu ricordandole una miscela di tè neri aromatizzata d’arancio e bergamotto che avevano bevuto da qualche parte a Mosca. Lei ricordava benissimo, la sala si chiamava Anastasia, ma il bergamotto, gli agrumi e quella freschezza immediata le fecero pensare, magari, al suo profumo di Dolce & Gabbana. Ecco cos’era. Allora, contando maliziosamente sui riflessi del bicchiere nell’iride dei suoi occhi, intinse l’indice nel vino e si umettò distrattamente la pelle del collo, subito sotto l’orecchio.

All’uscita lui l’aiutò a indossare il soprabito, e nel farlo le sfiorò la nuca con le labbra. Sentì chiaramente il profumo del Manna, e fu felice di averla incontrata. Come un dono, come un mistero, come piovuta dal cielo.


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