Un bicchiere per due. Trento Brut Riserva 2006 / Balter

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

“Il buccellato. Ecco questo vino mi fa pensare al buccellato. Cioè, io ricordo il buccellato perché lo faceva mia madre, e quando tornavo a casa il venerdi, ai tempi dell’università, già sulle scale sentivo il profumo del dolce che aveva preparato per me. Buccellato uguale casa, insomma. Ora dire che un sorso di bollicine mi riporta a quei tempi, che mi ricorda casa, forse è troppo. Allora, per sillogismo, potrei arrivare a dire che in fondo mi ricorda mia madre, e tu diresti che sono pazza. Eppure. Ma non senti questo impasto cremoso? Non ti sembra di esser lì che prepari il dolce? La farina, il lievito, la scorza di limone, la vaniglia, le uova… no, forse le uova no, ma certamente i canditi sì, forse l’uva passa, quando rinviene nell’acqua tiepida, il cedro, i pinoli… Zrrrrrr… Zrrrrr… sembra di sentire lo sbattitore in funzione. Bei ricordi”.

Lui si stava rompendo le scatole. Mal sopportava i ricordi, ma la sua collega lo intrigava da tempo, così un bicchiere, forse, avrebbe potuto rompere il ghiaccio: certo non pensava allo scioglimento della calotta artica. Aveva scelto un millesimato riserva per anticipare un gesto, magari una carezza, forse il bacio che da tempo sperava di conquistare. Il vino era bellissimo, di un giallo dorato se possibile più giallo, brillante nei riflessi, suadente in una effervescenza minuta, diffusa, senza risorgive incatenate, piccolissime capocchie di spillo che salivano alla rinfusa fino alla superficie, forse per minore pressione, forse per assecondare il suo auspicio di delicatezza. Poi sì, aveva ragione lei sulla pasticceria, ma insomma, senza arrivare a cose volgari, sperava che la crema le ricordasse qualcosa di più dolce rispetto a uno sbattitore elettrico.

“La vita in fondo è fatta di piccole cose, sono i dettagli che restano, pietruzze preziose dopo una clamorosa setacciata. Gesti, suoni, rumori, odori: lampi fotografici, istantanee involontarie, scarti che riponi in un cassetto e che un giorno escono fuori. E sono magari l’unica cosa che ti resta di un oggetto, un vestito, un piacere, un affetto. Forse anche per le persone è così. Ho letto un libro che riportava a galla un’infinità di queste sensazioni: il fruscìo della dinamo della bicicletta, raccogliere le more alla fine dell’estate, il profumo delle mele in cantina, il pacchetto delle paste che oscilla appeso a un nastro colorato la domenica mattina, il maglione autunnale sulle spalle, e cose simili. Si intitolava La prima sorsata di birra, perché di una birra apprezzi sempre avidamente il primo sorso, fresco, agognato, eccitante, e nessuno dei sorsi successivi sarà mai come il primo, anzi in qualche modo ne inquineranno la bellezza. Non ricordo l’autore, era francese, però.”

“Basta. Hai davanti un vino da assaggiare – pensava – è avvolgente e masticabile di frutta matura, pesca, ananas, forse litchi, è morbido e setoso, eppure ancora nervoso per freschezza e sapidità, prezioso insomma, da bere ridendo, magari parlando di noi, ora, adesso”. Non si dava pace, chissà, forse perché era senza ricordi, senza una casa a cui tornare, senza buccellati. Se c’era una cosa che mal sopportava era la stucchevolezza, le moine. Anzi, a ben sentire anche il finale del vino cedeva un po’ sulla dolcezza, allungandosi su imprecisate note di nocciolina americana, magari burrosa. Anche lei era burrosa, gli piaceva proprio per questo. Mentre quel libro proprio non lo digeriva, ci mancava anche quello. Spazientito, come per ogni cosa nella sua vita, non si trattenne e sbottò. “Quel libro di Philippe Delerm è una cagata pazzesca”

Si versò un altro bicchiere e lo buttò giù tutto d’un fiato, traendome grande piacere. Dopo un attimo apprezzò quella leggera spinta liquorosa in fin di bocca, quasi a raccogliere tutte quelle dolcezze, ed ebbe un sussulto: vide davanti ai suoi occhi un diplomatico, una di quelle paste quadrate con lo zucchero a velo, la sfoglia amarognola, il pan di spagna, la crema e una goccia di alkermes.

Quando era piccolo non gliele facevano mai mangiare: c’era il liquore, dicevano. Sorrise come sollevato. Poi, speranzoso, alzò lo sguardo di fronte a sé. Ma lei se n’era già andata.


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