Un bicchiere per due / Spigau Crociata 2008, Le Rocche del Gatto

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

Non è vero che avevo dimenticato quella canzone, semplicemente mi ero allontanato. Non potevo continuare ad avvertire un brivido su quell'accordo profondo che apriva la frase melodica: tum… Tanti auguri che presto io ti torni a cercare, per rimetterti a posto, per venirti a salvare… La stupida convinzione che lei si sarebbe pentita durò abbastanza a lungo, persino il suo matrimonio non sembrava ragione sufficiente per desistere: che le delusioni sono unite dalla ferrovia. Bastava poco, in fondo.

E invece quell'arpeggio mi ritorna addosso: sul divano la copertina di un vinile, tra le mani un bicchiere di Spigau. Esse privativa, distorsiva, un vino “altro” rispetto a un Pigato: riportato a casa, alla sua lingua, alla sua storia, ai suoi gesti. Faccio il furbo, la faccia di uno che ha capito, pensando a qualcuno che a suo tempo avrà detto: tanto poi torna. Non è tornato. Non è tornata. Sarà per questo che ho tirato fuori quel disco: il vino nel bicchiere è bello come era lei, un giallo dirompente, violento come un cedro al sole, i riflessi verdi delle foglie che lampeggiano sensuali, eppure fine, quasi diafano, esili archetti che lacrimano stretti e veloci. Lei non piangeva quando partì.

Non era lo sbaglio di una stanca mattina. Quel pigato puro e argilloso guardava certamente al giorno dopo: meglio una notte di mezzo, per decidere di fregarsene e basta . Un'infusione delle bucce nell'alcol, dirai alla fine: una, due, tre settimane con la pàtina dei suoi lieviti, e poi un fermento che ha l'umore delle mani, un'identità che confonde l'uomo con l'uva. E sono agrumi e anice, fiori di ginestra e pesche gialle, un velo di tannino su un tessuto fresco e avvolgente, spiegazzato di salsedine, eppure di un'eleganza vissuta, intoccabile. Una fotografia in divenire di un giorno di vendemmia, come in quell'istantanea dove lei sorrideva felice, dimentica di me, di loro, delle regole, dei giorni e delle notti, lasciate distanti.

Perché a Milano lei ha saputo dirsi buona e brava, fanculo la spalla su cui piangere, e ha scelto. Vino libero, c'è scritto sulla bottiglia, a margine del tutto. Forse anche questo Spigau un giorno è riuscito a dirsi buono e bravo: camminava da solo e tutti intorno che dicevano buono e bravo.

Non ci sono state richieste d'aiuto, nessuno da salvare, tantomeno da rimettere al proprio posto, semmai ce ne fosse uno per ciascuno di noi: illusioni, che di fatto restano sul marciapiede di una stazione ferroviaria, senza destinazione. Al limite prendono strade che corrono in direzione contraria, equazione algebrica della vita, dove l'incognita è sempre riuscire a capire cosa ci sarà dietro un tacco dodici. E resto così, a fissare il muro, con quei profumi che tornano come qualcosa di nostro, che alla fine è solo mio. Irretito da questo vino, così ampio e pieno, senza esitazioni, libero e sicuro, che mi parla di lei.

Tolgo il disco dal piatto e bevo un ultimo sorso, salato, lunghissimo. Questo ha l'amore in comune coi grandi vini: che quando lo incontri ti prende e non va più via.

Flavio Giurato – Marcia Nuziale (da Il Tuffatore, 1982)


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