di Fabrizio Scarpato
Come ogni mattina guardò attraverso la vetrina del piccolo negozio di lane e fili sotto i portici. E la vide, bionda e bella, dai modi gentili, indaffarata tra gomitoli di lana grezza dalle tonalità crude, dall’avorio al celeste, al grigio, disposti in sacchetti di carta da pane. La scuola del paese sul lago era lì vicino, e per lui, giovane insegnante precario appena arrivato, era di qualche conforto rispettare un’abitudine, magari un saluto. Ma quel giorno era un giorno di festa: era finita la vendemmia, e tutti erano per la via, in attesa della sfilata, ascoltando canti e musiche, bevendo di tutto, prima di incamminarsi per il törggelen.
A dire il vero prese il sentiero perché la vide insieme a un gruppetto di amiche dirigersi verso il primo maso, tutte vestite con i dirndl tradizionali: lei indossava una gonna nera, camicia bianca e corpetto grigio, ricamato di verde e di rosso. Se ne ricordò quando in un trionfo di speck e formaggi assaggiò un bicchiere di vino nel primo buschenschänke : era di un rosso squillante, dai riflessi violacei, limpido, dal profumo di frutta fresca e croccante, forse melagrana, forse amarena, ma anche innervato di rami e steli verdi di campagna. E di bosco assolato, pensò, mentre attraversava il castagneto che lo separava dall’hofschänke successivo.
E manco a farlo apposta gli servirono lo stesso vino: e tra le altre c’era la ragazza bionda dei suoi pensieri. Notò che si era cambiata, adesso vestiva di verde, con un corpetto nero allacciato con nastri rossi. Il bello è che lo salutò, con un cenno, invitandolo ad avvicinarsi per poterlo servire: “Professore” disse, calcando un po’ sulle esse. Gli andò di traverso il canederlo che stava addentando, sorrise impacciato, ma si fece strada tra la gente per prendere quel bicchiere di vino. Fece appena in tempo ad accennare un grazie che venne travolto da un gruppo folkloristico: tutti presero a danzare, lui non la vide più e si sedette davanti a uno stinco con crauti, che doveva proprio essere un santo per quanto accondiscese alla sua rabbia maldestra. E bevve la sua schiava con avidità: d’altra parte proprio per questo era fatta, con la sua sapidità, appena venata dal frutto dolcemente polposo della ciliegia, da richiami di china e liquirizia, i tannini fini e leggeri che pulivano la bocca, rendendo piacevole il finale amarognolo e speziato. Se ne restò lì, un krapfen ripieno di crema di castagne, caldo, tra le mani, ripensando a quel sorriso così gentile. Poi accarezzò i suoi sogni, leccandosi le dita.
Già, le castagne: scrocchiavano i ricci lungo il sentiero che lo riportava al paese. Profumi silvestri di bacche rosse, tagli di luce nel bosco al tramonto, l’aria che si faceva fredda, il fiato che si condensava nel tonfo dei passi, nelle risa e nei canti, nelle storie di streghe e di maghi, da esorcizzare ancora, la sera, intorno al fuoco, con un bicchiere in mano. La strada principale del paese era costellata di sacchetti di carta dalle pareti ritagliate a forma di cristallo di neve, all’interno dei quali luccicava una candela: segnavano la via per raggiungere la piazza dove i giovani avevano acceso il keschtnfeuer, il falò delle castagne. Le caldarroste passavano di mano in mano, insieme a bicchieri di vino rosso o di apfelsaft. Lui ritrovò il suo Leuchtemburg, ma anche lo sguardo della ragazza, che si prodigava davanti a un braciere. Nell’aria saliva un profumo dolce e affumicato, ruvido di sottobosco, di legni e tamarindo, insieme a musiche medievali, di flauti, pifferi e grancasse. Si avvicinò, ma lei non lo degnò nemmeno di uno sguardo: era meglio bere ancora un sorso di vino, per ritrovare tutti i profumi di quella giornata e per assaporare con disincanto l’evidente sentimento di festosa allegria che c’era in quella piazza, ma anche nel suo bicchiere.
Si riscaldò con un ultimo succo di mela caldo, magari con un goccio di grappa, e si incamminò verso casa, con l’animo non precisamente soddisfatto, confuso. Nei pressi dell’antica porta d’ingresso al paese, un’ultima strega arrostiva castagne. Gli porse un sacchetto: “Ciao professore”, poi si tolse il grosso cappellaccio sciogliendo una cascata di capelli biondi, che brillarono d’oro al chiarore del fuoco. Lui si fermò un attimo, prese le castagne e salutò, come se niente fosse, ormai certo di essere assolutamente ubriaco. Passò davanti al negozio di lane e fili e come d’abitudine diede un’occhiata: non ci aveva mai fatto caso, ma sulla vetrina c’era scritto “Die Kessner Zwillinge”. Per dieci secondi si arrovellò su cosa potessero significare quelle parole. Poi mangiò un paio di caldarroste e decise che era ora di andare a dormire.