Parlare è la peggiore forma di comunicazione. L’uomo si esprime compiutamente attraverso i suoi silenzi.
Frèdèric Dard
di Catia Sulpizi
Chissà cosa avrebbe pensato Dard nel vedere quanto oggi la sua massima fosse distante dall’uso comune delle persone.
Chissà se la sua penna avrebbe risposto con ironia o dispiacere nel constatare una realtà di persone che acquisiscono consensi, voti e popolarità attraverso la dinamica della “voce alta o del voler parlare a tutti i costi senza aver nulla da dire”.
Ma Dard nel 2016 un follower lo avrebbe avuto.
Umberto Giraudo: figuriamoci che lui si definisce uno che chiacchiera troppo.
Non vi limitate a leggere le mie parole, per capire cosa ha reso speciale quest’uomo, andate al Rome Cavalieri, individuate anonimamente il tipo e muovetevi con lui tra le maestose sale dell’hotel, soffermatevi sull’elegante gestualità, sul passo deciso, sulla fiera postura, sullo sguardo aperto e vigile, sulla reazione delle persone che si relazionano con lui. Noterete un silenzio efficace. Noterete un attore che seduce la platea con scene mute come con voce calda ferma e avvolgente.
Chi è Umberto Giraudo?
Nato a Roma nel 1971, si diploma all’istituto alberghiero e nel frattempo comincia le prime esperienze lavorative a bordo delle navi Costa. Poi si trasferisce in Francia, dove lavora per 7 anni nei locali di Alain Ducasse a Montecarlo e a Parigi. Nel 1999 approda alla corte di Heinz Beck alla Pergola. Maître dell’anno della Guida l’Espresso nel 2001, Cavaliere dell’Ordine di Malta della Repubblica Italiana nel 2005, Miglior maître nel 2008 per il premio Veronelli e, nel 2012, insignito del Grand Prix de l’Art de la Salle.
Chi è Giraudo per questa rubrica?
Uno di quelli che può lasciare il segno e cambiare veramente le cose.
Sei stato chiamato in causa da un altro grande uomo di sala come Luca Vissani che ti definisce “un riferimento di ieri, di oggi e di domani”, partiamo da ieri, che servizio c’era? Hai avuto un maestro a cui ispirarti?
Il mio ieri è rappresentato da un servizio qualitativamente più alto, ma riservato solo ad una élite di persone, mentre oggi noto uno standard più basso, ma una sensibilizzazione maggiore.
Sul mentore non ho dubbi: Bruno Borghesi. Vederlo accogliere le persone e capirle in un istante mi diede misura della potenzialità di questo mestiere.
La situazione odierna?
“Non felice, non si è ancora riusciti a dare una figura pragmatica al cameriere, lo chef crea, regala emozioni, la sala porta il piatto. Purtroppo non c’è mai stata una figura così importante (nemmeno la mia lo è a quanto pare abbastanza) da creare una generazione di persone sensibili alla sala o in grado di sensibilizzare l’attenzione dei media e dei clienti. La sala è vero porta il piatto, ma tale gesto va collocato dentro un concetto complesso e meraviglioso che è quello dell’accoglienza. Certo che se non si hanno personaggi che rendono l’accoglienza un’arte è giusto banalizzare il tutto nel “il cameriere porta il piatto”. Sono stato tantissimi anni accanto a Beck, chef dall’indiscussa capacità, ma credimi, se non ci fossero state le mie parole o quelle dei ragazzi a raccontare la filosofia dello chef o ad interpretare i gusti del cliente nello scegliere le portate, i piatti sottoposti non avrebbero prodotto lo stesso effetto”.
Il domani?
“Nel futuro la sala non potrà che aver successo, ma il trionfo per essere attuato necessita di un’accoglienza vestita su misura, in questa prospettiva il mestiere del maitrê o del general manager dell’hotel o del ristorante non ha limiti di accreditamento. Nella globalizzazione che vivremo il successo sarà dettato da due fattori: qualità e personalizzazione dell’offerta. Fattori legati al valore umano, fattori legati alla sala. Ciò sarà valido per ogni forma di ristorazione, dagli alti numeri ai 4 tavoli. Un aneddoto mi aiuta a definire: Un cliente russo ci prenota per tre giorni la suite penthouse. Decido di occuparmi personalmente del cliente così in primis mi adopero per fargli fare il check in nella camera, scelta effettuata in base alla conoscenza della loro cultura (in Russia è vista come un’offesa la richiesta di documenti, specie in un luogo pubblico, specie se è un russo ricco). Il cliente appena varca la soglia della stanza si toglie le scarpe, io mostro il mio gradimento per tale gesto sapendo che il suo atto esprime nelle tradizioni un rispetto nei miei confronti, lui a sua volta coglie e mi sorride. Nella suite abitualmente ai clienti si fa trovare champagne e canapè, sostituisco questo con un elegante rituale del te attraverso il samovar sapendo che tale rituale è per loro fondamentale come accoglienza come idea di casa.
Mi esprime poi 3 esigenze:
Vuole fare il bagno in piscina fuori orario.
Vuole mangiare fuori orario.
Vuole avere i vestiti stirati fuori orario.
Lavoro per attuare il tutto non tralasciando né la sicurezza né il rispetto del personale, lo faccio perché capisco che lui sta testando la nostra capacità come struttura di saper dire “si” alle sue richieste. Perché tale capacità più di altre è un fattore fondamentale nella valutazione di gradimento per questo popolo.
Il terzo giorno scrive una lettera scrive una lettera per prolungare il suo soggiorno a patto che gli sia garantita la mia presenza. Il russo è rimasto 35 giorni e ha fatto 80 presenze in un anno”.
Come si arriva all’arte dell’accoglienza?
Quando un cameriere riesce ad essere contemporaneamente psicologo, ingegnere e tecnico. L’accoglienza è un’arte, ma è anche scienza, non a caso viene il titolo del libro prodotto con Heinz nel 2004: Arte e scienza del servizio. Psicologo è oggi un concetto fondamentale. In Pergola ai ragazzi davo 3 secondi di tempo all’entrata per capire il cliente. Che tipo era, motivo della visita. Tecnico perché è fatto da abilità tecniche di servizio come il flambage il decantage, sevizio dell’ostrica, del caffè, ma anche tecnica di gestione vendite e controllo fatturato. Ingegnere suddividendo in ingegnere della merceologia dove lo studio e l’aggiornamento continuo sui prodotti sono l’anima e l’ingegnere delle culture: conoscere abitudini, tradizioni, rituali e modus pensandi che differenziano la clientela a seconda del paese di appartenenza.
Un tedesco vuole mangiare 1 piatto ogni trenta minuti e andarsene 5 minuti dopo aver finito il pasto, un italiano vuole mangiare tutto in un’ora e finito, rimanere seduto a chiacchierare per un’altra ora. Oppure se un cinese trova come centrotavola rose bianche riterrà la cosa un’offesa perché nel suo paese sono i fiori dei morti, delle disgrazie. Duro lavoro, nobili attitudini, ma il valore non arriva. Perché? Perché non siamo mai stati in grado di spiegare il nostro lavoro. Il cuoco cucina, il sommelier porta il vino, il maitrê che fa? La causa è in casa, noi per primi ci siamo nascosti in un angolo ora non possiamo lamentarci perché non ci hanno visto.
È un limite antropologico del nostro paese che con gli anni si è consolidato. Quando a vent’anni sono andato a Parigi a fare lo chef de rang all’ Hotel de Paris le persone mi dicevano “ahh tu hai un lavoro importante sei un personaggio!”
Io rimanevo incredulo, pensavo che mi stessero prendendo in giro, per me ero un semplice cameriere. Qui in Italia per anni ho detto “faccio il maitrê” e le persone mi rispondevano: “ahh fai il cameriere” ed io stesso in maniera errata dicevo “si faccio il cameriere” riducendo l’immaginario della mia professione a “uno che porta solo il piatto”.
Il libro (citato prima) è la mia risposta concreta a questa disinformazione all’esigenza di non voler più svilire questo mestiere, ma questo non basta. In Francia come in Inghilterra c’è una tradizione antica, un valore culturale alto per i mestieri di sala, sono posizioni ambitissime, si fanno concorsi, gare di chef de rang, gare di maitrê proposte dalle cantine, ci sono scuole private importanti, maison di champagne che investono per quelle pubbliche”.
In Italia questa sensibilizzazione non è ancora arrivata. In cucina si assume personale specializzato mentre in sala spesso è la proprietà che ricopre ruoli fondamentali, questo cosa ha prodotto?
“La sala non è una casella vuota da coprire, sono poche, seppur valide, le proprietà che hanno lasciato il segno. Il proprietario può essere un ottimo imprenditore, ma questo non lo rende in automatico un maestro di accoglienza. Le capacità di empatia e di adattabilità con il cliente o quella di standardizzazione dei processi o ancor più di relazione con il personale non arrivano in automatico solo perché tu sei il “patron o oste” del locale.
Quella che è l’illusione di risparmiarsi uno stipendio importante in sala ricoprendo il ruolo di direttori come proprietari si può tradurre in una realtà fatta di malumori con il personale, di perdite di denaro per degli ordini mal gestiti o di clienti “.
Leggende popolari, ma anche voci concrete raccontano delle forti diatribe tra sala e cucina, tu non solo sei riuscito a stare per anni accanto ad Heinz Beck chef imponente dal carattere forte e determinato, ma persino ad emergere come figura. Come si fa? Heinz è vero è un carattere forte, un perfezionista, ma altresì è sempre stato una persona intelligente da capire che la sala era il suo specchio con il cliente.
Io riconoscevo in lui la punta di diamante e lui in me la montatura che lo valorizzasse.
Sapeva benissimo che io non volevo mettermi in competizione con la sua figura, come sapeva che io desideravo il massimo per la mia sala e che questo massimo sarebbe convenuto anche a lui. Eppure si malgrado questo non poche volte siamo “finiti a coltelli” dietro le quinte, è normale soprattutto tra professionisti alla ricerca spasmodica dell’eccellenza.
In questo caso si mette al centro il cliente. Capitava in sala che una cliente avesse ordinato un piccione e che all’arrivo della pietanza senza spiegazioni variasse il suo ordine con uno spaghetto al pomodoro.
Per uno chef maniacale come Heinz era fondamentale capirne la ragione, se avevamo tardato noi come sala a portarlo o se ci fosse stato un qualsiasi intoppo da quando quel piccione fosse uscito dalla sua cucina, per me ugualmente era fondamentale dimostrare che l’operato della sala era stato conforme agli standard, in tutto questo la povera Signora stava li che aspettava il suo spaghetto che naturalmente non era nemmeno partito come comanda.
Il passo successivo è stato capire che prima si risolve l’esigenza del cliente e poi si fa la caccia al colpevole.
Parliamo di modelli replicabili, oggi gli chef tendono a fare seconde, terze, quarte aperture e i maitrê?
In realtà non sono modelli replicabili, il modello replicabile è quello di Ducasse, ovvero diverse aperture, medesimo standard di offerta, medesimi riconoscimenti.
Questo accade perché si è convinti di poter esportare una macchina portando il motore originale e comprare la carrozzeria in loco.
Ducasse nelle sue aperture si portava dietro non solo la cucina per il training, ma tutta la sala, perché da imprenditore aveva capito che le due cose non si potevano scindere perché diversamente non avrebbero prodotto lo stesso effetto.
Guarda le seconde o terze aperture degli chef tristellati nessuno ha preso poi di nuovo tre stelle.
Da quel che dici sembrerebbe che per le guide gastronomiche la sala abbia la sua rilevanza, sei certo che sia un importante criterio di valutazione?
Oggi no o perlomeno oggi non è chiara la situazione tra ciò che si vive nelle ispezioni e i risultati.
Eppure mi ricordo, se non erro, la prima edizione dell’Espresso in cui Enzo Vizzari istituì il premio come miglior maitrê d’Italia lasciando intendere quanto la componente sala fosse fondamentale.
Oggi i parametri sono confusi, indietreggiano sale che da anni sono l’eccellenza, mi sembra evidente che riducendo il tutto ad una percentuale possiamo dire che l’80% lo fa la cucina e il 20% la sala.
Su cosa stai lavorando oggi? Ci sono progetti?
Oggi rappresento all’interno del Rome Cavalieri la figura dell’High Quality Manager, per me è una nuova importante sfida, dopo il riconoscimento di miglior maitrê al mondo avvertivo l’esigenza di alzare la posta, questa mi è parsa la giusta risposta.
Le competenze maturate in Pergola mi stanno aiutando molto nell’attuazione del piano di lavoro, questo intendevo in riferimento alle potenzialità del mestiere di sala.
Si parte camerieri, ma l’evoluzione è ampia. Sono soddisfatto di come stanno andando le cose, l’hotel ha avuto un aumento di dodici punti nel grado di soddisfazione dei clienti.
Un buon manager deve essere in grado di anticipare ed interpretare i trend, deve avere una profonda cultura di ciò che sta accadendo nel mondo e rielaborare tali informazioni nel miglior modo per la struttura anche dal punto di vista economico.
A breve la riapertura dell’Imperial lounge, sala frequentata per anni dagli abitué, ma che mal si adattava agli usi di oggi e che soprattutto produceva degli sprechi enormi.
Posso dire con soddisfazione di aver aumentato il personale, la qualità dell’offerta e di esser sceso con i costi.
Che ti senti di dire a questi ragazzi che cercano la propria strada nel settore dell’ hospitality per convincerli che il tutto non si racchiude alla sola cucina?
Fare il cameriere è veramente un mestiere bellissimo, che dona alla persona capacità che pochi altri lavori riescono a trasmettere.
Il grado di soddisfazione può essere altissimo, l’importante è saper nutrire questa bellezza.
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