di Fabrizio Scarpato
Già nel primo pomeriggio di un giorno di dicembre, il verde delle piante e le pennellate di blu virano inesorabilmente verso il nero, mentre i legni bianchi di Uliassi riflettono, sulla sabbia, taglienti luci metalliche.
Non so se Ruggeri portasse il cane a passeggio sulla spiaggia di Senigallia negli inverni dei primi anni Ottanta, ma certamente là, davanti a noi, stanno girando una pellicola in bianco e nero, e questa volta qualche nuvola si butta giù non già verso l’interno, ma direttamente nel mare, laggiù all’orizzonte.
Sulla spiaggia deserta l’occhio di bue incornicia quattro clown e un bambino che procedeno in fila indiana soffiando, nei pifferi e nel trombone, una marcetta circense, di quelle che non sai mai se ridere o piangere.
Mauro Uliassi fa gesti, ascolta, chiama, passa tra i tavoli vestito di bianco, ai piedi sneakers d’argento: non ha in mano un cappello nero a larghe tese e nemmeno un megafono, ma come Mastroianni ti prende per mano per mettere ordine ai ricordi e sparpagliare emozioni: è una festa la vita, e non te lo manda a dire.
Venite, stiamo per cominciare… La marcetta si fa più insistente, Catia Uliassi sorride, al collo un triplo filo di perle e un twin set dai polsi impellicciati: è Claudia Cardinale che si avvia a piedi nudi sulla spiaggia, è Anouk Aimée, gentile ed elegante, sarebbe una gioiosa Sandra Milo, se solo avesse un copricapo di ermellino e una veletta bianca a ombreggiarle il viso.
Abbiamo capito che non puoi fare a meno di noi… via, tutti giù, scendete, tutti insieme… La musica sale di intensità, si aggiungono altri fiati, piatti e percussioni: si affollano, lungo le scale, i nostri ricordi estivi, per primi i più lontani: il tovagliolo annodato al collo davanti a una zuppa di datteri, le vespe sui succhi di frutta, una Topolino, il costume a righe, i muscoli rossi, le arrossature, i battelli e le corse, le fiocine e i fucili, le mani che afferrano i polpi per finirli scapicollandoli, le labbra che succhiano i granchi, i tartufi e le arselle, una lenza, i retìni di boghe e sarpe, di sparli e zigoèle, le conchiglie, le seppie, i muscoli rubati nascosti nel costume a insidiare futuribili virilità, il sale delle canzoni estive.
Se mi vuoi lasciare…dabidabò…dimmi almeno perché.
Nei piatti tutto il mio mare lontano: gamberi e seppie, ricci e triglie, calamari e vongole fanno girotondo sul cantagiro di una pista felliniana, graffiandomi di nostalgia. E’ un mare a colori, ma lo ricordo in bianco e nero, su una spiaggia adriatica, all’imbrunire di una sera d’inverno. L’estate, in inverno, la puoi solo sognare.
L’inverno ha i suoi colori e sembra che quest’anno siano i toni del vino a colorare abiti e maglie per la stagione fredda. Scopriamo che passa una sottile nuance tra il panno rosso Bourgogne del blazer di Hermés e il color rosso Lambrusco dei bluson di maglia di Cains Moore. Se poi si preferiscono i bianchi, la vendemmia di Etro, oltre al trench nei toni del vin brulé, ha portato parka trapuntati in seta che ricordano la clorofilla verde oro delle uve Verdicchio, mentre Jacob Cohen tesse girocollo in shetland in un verde, acido e idrocarburico, proprio della lucentezza cromatica di un Riesling di dove vi pare. Solo i più raffinati bollicinisti potranno bearsi dei pull di Prada tinti di un verde cupo che ricorda certe bottiglie di Champagne abbaziale rifermentato nei pressi di Hautvillers.
Uliassi d’inverno è un concetto che il pensiero non considera…
Pensiero pigro, per non dire debole, che non conosce un’ insospettabile capacità di svisare su note cupe e calde, intime e sfuggenti sotto la luce fioca delle lampare affisse alle pareti.
La cottura al rosso del colombaccio alla marchigiana riprende il color vinaccia della maglia di Matteo, mentre i pantaloni rosso aranciati di Leo riescono, seppure a fatica, ad intonarsi con la battuta di manzo e pera alla grappa: un petalo di fiore, rosso vermiglio, ad armonizzare il tutto.
Il fondente di patate, alzavola e radici di erbe di campo: uno sgambetto concettuale al limite della traslocazione mentale, un paesaggio alla periferia della tundra artica, terra densa e scura di vulcano islandese imbrattata di cacao e nero di seppia, sotto la quale un magma amidaceo nasconde ruvidi e consistenti morsi di carne da caccia.
Coraggioso lavoro di scavo e di conquista, persino di fiduciosa sorpresa, quasi ad ammonire che il meglio resta spesso nascosto, che devi squarciare il nero per accarezzare la dolcezza, che devi viver l’inverno per arrivare all’estate. Cucchiaiate felpate attorno al camino, note di Arvo Paart e un bicchiere purificante di tè Puerh, scuro e millesimato, a circoscrivere un piatto minimalista e introspettivo, caldo e amicale.
Difficile da dimenticare, anche perché, giustamente, trovava convinto e cromatico appoggio nei miei pantaloni di un verde profondo, tra il muschio e il lichene bagnato. Il mare ora non s’avverte più alle nostre spalle. Il sole è scomparso piallando una tavola grigio acciaio. Nessun ombrellone è rimasto aperto e la spiaggia non si è colorata di musica banale:
il mondo è grigio, il mondo è blu, cuccurucucu paloma…
Non resta che l’oro dello champagne e il refolo di brezza che dal bicchiere sale in superficie a stuzzicare le ciglia e le guance. Profumi di vento di mare, sapido e fresco.
All’orizzonte una coltre di nuvole grigio perla s’avanza promettendo neve. L’aria si fa gelida, i clown e il bambino sono scomparsi dietro la banchina e il buio nero di dicembre ha invaso la candida veranda: adesso sì, questo vento agita anche me.
Il solo, confortevole rimando ai colori del mare, è il fantastico gessato azzurro del Maffi.
Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua… Azzurro…
Ristorante Mauro Uliassi, Senigallia.
Paolo Bagnara – Post vendemmia – Io Donna, Corriere della Sera