Internet è il regno del possibile ma anche degli strafalcioni vissuti con autorità. Ecco perché non è secondario per noi scrivere correttamente in napoletano, soprattutto quando si parla di pizza. La bella iniziativa di Bonilli e Cortese ha questo vizio di origine che Google replica all’infinito. Ho chiesto a Raffaele Bracale di spiegare come si scrive.
Anche perché è giusto fare distinzione tra ‘A pizza napulitana che ha circa duecento anni di storia, La pizza italiana che ne ha una ventina e A’ pizza nata due settimane fa.
Questione di puntiglio? Forse, ma che direste se scrivessimo La blog PaperoGiallo?
di Raffaele Bracale
L’amico Luciano Pignataro me ‘mmita a ccarne e mmaccarune e mi invita a fare un po’ di chiarezza sul corretto modo di scrivere in napoletano taluni monosillabi; e lo fa, il buon Luciano, prendendo spunto da uno strafalcione che grida vendetta al cospetto di Dio, strafalcione presente nel manifesto della pizza a Vico che erroneamente intitola A’ PIZZA (cioè, nell’intento dell’anonimo estensore LA PIZZA).
Con quell’ A’ apocopato anziché aferizzato ‘A cosí come esige la grammatica napoletana: atteso che la caduta della L dell’articolo LA va indicato con il segno diacritico dell’aferesi (cioè posto davanti alla vocale e non dopo!)
per cui: LA → (L)A →’A
e non A’ che indicherebbe tutt’al piú la preposizione articolata ALLA → A(LLA) → A’
Preposizione che tuttavia è preferibile rendere (cfr. ultra) nella forma di crasi: Â.
Tanto premesso entro in medias res ed elenco qui di sèguito un congruo numero di monosillabi in uso nella parlata napoletana, indicandone volta a volta oltre significato ed (ove possibile) etimo anche quella che è (a mente delle regole di grammatica e linguistica) la maniera piú corretta di scriverli.
Cominciamo con i piú semplici monosillabi e cioè gli articoli; abbiamo gli articoli determinativi
‘A = la art. determ. f. sing. si premette ai vocaboli femminili singolari; deriva dal lat. (ill)a(m), f. di ille ‘quello’; l’aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘);
‘O/’U = lo/il art. determ. m. sing. si premette ai vocaboli maschili o neutri singolari; la forma ‘u è forma antica di ‘o ora ancóra in uso in talune parlate provinciali e/o dell’entroterra; la derivazione sia di ‘o che di ‘u è dal lat. (ill)u(m), acc.vo di ille ‘quello’; l’aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘); la particolarità di questo articolo è che quando sia posto innanzi ad un vocabolo inteso neutro, ne comporta la geminazione della consonante iniziale (ad es.: ‘o pate voce maschile,
ma ‘o ppane voce neutra etc.).
O’ non è come a prima vista potrebbe apparire un’errata scrittura del precedente articolo ‘o (lo/il), errata scrittura (tutti possiamo sbagliare!) che talvolta mi è capitato di ritrovare inopinatamente in talune pagine di giornali, vergata da indegni pennaruli che per mancanza di tempo o ignavia non usano piú rileggere e/o correggere ciò che scrivono (….mi rifiuto infatti di credere che un giornalista non sappia che in napoletano gli artt. lo/il vanno resi con ‘o e non con o’) a meno che quei tali pennaruli nel loro scrivere non errino lasciandosi condizionare dalla dimestichezza con lo O’ (apocope dello of inglese che vale l’italiano de/De).
L’ o’ napoletano a margine è anch’esso un apocope, quella del vocativo oj→o’=oh e viene usata nei vocativi esclamativi del tipo o’ fra’!= fratello! oppure o’ no’!= nonno! La forma intera oj è usata in genere nei vocativi come oj ne’! – oj ni!’= ragazza! – ragazzo!. Rammento che il corretto vocativo oj
viene – quasi sempre e nella maggioranza degli anche famosi e famosissi scrittori e/o poeti partenopei – riportato in una scorrettissima forma oje con l’aggiunta di una pletorica inesatta semimuta e, aggiunta che costringe il vocativo oj a trasformarsi nel sostantivo oje = oggi con derivazione dal lat. (h)o(di)e→oje;
scrittori e/o poeti partenopei prima di mettere nero sul bianco facessero un atto di umiltà e consultassero una buona grammatica del napoletano, o quanto meno compulsassero un qualche dizionario, quante inesattezze o strafalcioni si eviterebbero! Purtroppo tra i piú o meno famosi o famosissi scrittori e/o poeti partenopei che reputano d’esser titolari di scienza infusa, l’umiltà non trova terreno fertile! Il Cielo perdoni la loro supponenza spocchiosa…
‘E = gli, le art. determ. m.le e f.le plurale. si premette ai vocaboli maschili o femminili plurali; deriva dal lat. (ill)ae(s), ‘quelli ‘di influsso osco; l’aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘);la particolarità di questo articolo è che quando sia posto innanzi ad un vocabolo femminile , ne comporta la geminazione della consonante iniziale (ad es.: ‘e pate voce maschile,
ma ‘e mmamme voce femminile, ‘e figlie= i figli voce maschile, ma ‘e ffiglie= le figlie voce femminile etc.);
‘Í = vedi; è l’aferesi dell’imperativo esclamativo (ved)i del verbo vedere; di per sé si potrebbe rendere correttamente con ‘i dove il segno d’aferesi (‘) indicherebbe la caduta della sillaba (ved); ò invece optato per ‘í perché ‘i fuor del contesto potrebbe crear confusione con l’antico art. m.le pl. (ll)i→’i; rammento che questo ‘i a margine è sempre usato in unione dei pronomi(posti in posizione proclitica) ‘o oppure ‘a nelle epressioni: ‘o ‘í ccanno(eccolo qui vicino); ‘o ‘í lloco (eccolo lí) ‘o ‘í llanno (eccolo laggiú) ‘a ‘í ccanno(eccola qui vicino); ‘a ‘í lloco (eccola lí) ‘a‘í llanno (eccola laggiú). Rammento e me ne dolgo che l’amico avv.to Renato de Falco abbia scelto nel suo Il Napoletanario una assurda morfologia che rende i corretti ‘o ‘í ccanno ‘o ‘í lloco ‘o ‘í llanno con degli scorretti oi’ ccanno oi’ lloco oi’ llanno atteso che non si capisce proprio da quale grammatica o dizionario, l’amico de Falco abbia tratto quei suoi assurdi oi’ comunque tradotti: vedilo. Come è vero che quandoque bonus dormitat Homerus! (talora anche il buon Omero sonnecchia!).
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