di Marco Contursi
Il pezzo precedente è andato come mi aspettavo, tanti lettori, non del settore ma semplici appassionati, a favore, qualche complimento in privato da addetti al settore e nessun contraddittorio con i chiamati in causa poiché su certe cose è meglio far finta di niente, tanto prima o poi ce ne dimentichiamo.
Vediamo ora se qualcuno mi risponde?
E normale la pratica della lavorazione conto terzi o è un inganno al consumatore sebbene venga riportata in etichetta anche se spesso con sigle poco chiare?
Ecco la mia esperienza: la settimana scorsa vado a trovare una mia amica che ha partorito e il neo papà mi offre dei biscotti di una fabbrica artigianale la cui scatola recita “dal 1800” …
Li trovo buoni, vado al loro punto vendita dove hanno solo biscotti a marchio loro e mi dirigo verso lo scaffale di quelli che voglio acquistare.
Orbene giro la scatola per leggere gli ingredienti e scopro che sono fatti da tutt’altra parte. A questo punto leggo il dietro etichetta di tutti gli altri biscotti e sono tutti fatti da laboratori e pasticcerie di altri paesi,vicini e non. E approfondendo l’indagine mi viene detto che anche il nome del proprietario del biscottificio non è più quello dell’etichetta storica essendo stato venduto il marchio.
Cioè, io compro un prodotto fatto dall’antico biscottificio Pincopallo dal 1800 e invece lo fa la pasticceria Bingobongo per conto di uno che si chiama Piripicchio?????
Qualcosa non quadra…..
Eppure è un fenomeno non raro sia nel mondo del vino che in quello della birra ma qui è giustificato dal fatto che non sempre i produttori di uve o gli ideatori di una ricetta di birra, hanno gli impianti di trasformazione. Diverso a parer mio è il caso dei pastifici, qui infatti vengono acquistati marchi in disuso da decenni e si esce sul mercato col nome “Antico pastificio …….dal 1800 la vera tradizione ecc….” ma dal 1800 che cosa, che semmai è stato chiuso 100 anni fa e i titolari attuali del marchio non hanno nulla in comune con la famiglia che l’ha fondato?
Addirittura uno dei marchi piu famosi di pasta artigianale, era fino a poco fa solo una commerciale che non produceva 1 grammo di pasta ma commercializzava a marchio suo e riportandolo in etichetta, in piccolo, quella fatta da altri.
Diversi pastifici poi producono solo alcuni formati mentre altri li fanno fare, sempre scrivendolo in etichetta come legge prescrive. O dimenticandosene come si è evinto da un recente inchiesta della forestale. E dove non ci sono marchi di tutela il fenomeno è più difficile da far venire a galla.
Cosa dice la legge in merito?
La tutela della corretta indicazione di provenienza è affidata a norme di carattere sia penale che amministrativo.
L’art. 515 cod. pen. vieta e punisce la consegna all’ acquirente di cosa diversa per qualità, origine e provenienza da quanto dichiarato (per es. in etichettatura) o pattuito.
L,art. 517 cod. pen. vieta e punisce la messa in commercio di prodotti industriali con marchi ingannevoli sulla origine, provenienza o qualità del prodotto.
Ai sensi dellart. 2, d.lgs. 109/92 l’ etichettatura del prodotto (o la sua pubblicità) “non deve indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull’origine o la provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso’’.
Ricordiamo anche lart. 3, d.lgs. 109/1992, il quale tra laltro impone l’ inserimento in etichetta del nome o della ragione sociale o del marchio depositato e della sede del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella CE, nonché della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento.
A riprova dell’obbligo di corretta indicazione di provenienza la giurisprudenza ha riconosciuto la ricorrenza della frode in commercio (art. 515 cod. pen.) in un caso in cui non era indicata la provenienza di sacchi di farina dal vero produttore, e la violazione dell’ art. 517 cod. pen. nel caso di un produttore che aveva messo il proprio marchio su panettoni senza specificare adeguatamente chi li aveva effettivamente fabbricati.
Personalmente trovo poco corretta la cosa, e si ricollega sempre al discorso delle forma a discapito della sostanza. Infatti, piccoli produttori che non hanno forza commerciale per farsi conoscere, producono per conto terzi un prodotto che viene rivenduto a 3-4 volte il prezzo pagato loro, mettendo sopra un marchio famoso.
Pratica legale purchè lo si scriva in etichetta. E allora impariamo a leggerla, girando pacchi e scatole e se troviamo la scritta “prodotto PER…….DA……”, sappiamo che l’ha fatto qualcun altro. Se poi è un buon prodotto compriamolo pure, sapendo che però una parte del prezzo è dovuta al marchio.
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