di Raffaele Mosca
Quello dei vini super-premium delle cooperative altoatesine è un filone che esiste già da qualche anno: ogni cantina ha lanciato un’etichetta molto ambiziosa e in tiratura limitata che rappresenti la creme de la creme della propria produzione. Ma se fino ad oggi i bianchi l’hanno fatta da padrone in questo segmento, con il Très di Cantina Kurtatsch le cose cambiano e si aprono nuovi orizzonti per i rossi regionali.
Potremmo parlare di questa degustazione che si è tenuta presso l’azienda a fine settembre come di un “Judgement of Cortaccia”, perché le modalità sono state simili a quelle del famoso evento organizzato da Steven Spurrier a Parigi: a una una platea di giornalisti, sommelier e comunicatori di altro genere – compreso qualche influencer – sono stati serviti cinque vini alla cieca con sole tre indicazioni: a) tutti contenevano una percentuale consistente di Merlot b) tutti erano dell’annata 2016 c) tra di loro c’era il Très.
La sensazione, già dalle prime “annusate”, era di avere a che fare con bottiglie di una certa caratura, scelte proprio per riaffermare il posizionamento molto alto del Très, nato da parcelle d’eccezione che in precedenza concorrevano nel blend delle selezioni aziendali Freienfeld e Brenntal. A fare la parte del leone è proprio il Merlot (70%), scelto perché più precoce del Cabernet Sauvignon e quindi più performante nel clima dolomitico. Rilevante anche la quota di Cabernet Franc (25%), vitigno antitetico rispetto al Merlot e per questo complementare.
Ma veniamo alle note di degustazione:
1. L’impressione nell’immediato di purezza adamantina: mora, lampone e viola s’intrecciano con anice, liquirizia, noce moscata e carcadè, a delineare un profilo sussurrato e ammaliante. Austero, ma raffinatissimo, sferra l’attacco acido e tannico e poi si distende, allungando su cola, erbe officinali e polvere di caffè. Cerebrale e di straordinaria precisione, lascia intuire un potenziale d’invecchiamento non indifferente.
2. Molto più ricco e “caliente” del precedente: cuoio, carne grigliata, legni balsamici e qualche accenno di humus fanno da contorno a marasca e cioccolato fondente. Decisamente più tannico, offre tanta materia fruttata e ottima acidità a supporto, ma in questa fase il legno si fa sentire e asciuga un po’ il finale.
3. Il profumo è dirompente: confettura di fragole, rosa rossa in appassimento, genziana, cannella e un soffio di tabacco mentolato. E’ il più immediato dei primi tre: avvolgente ma non corpulento, con l’acidità al suo posto, tannini perfettamente estratti, erbe balsamiche e fiori che plasmano il finale lungo e vellutato. Impetuosamente varietale senza essere scontato.
4. Stile ricco, bombastico, che rimanda subito ai Bordeaux più moderni: composta di mirtilli, legno di cedro e caffè dominano la scena, intervallati da qualche accenno mentolato e terragno. Ritroviamo il tannino forzuto del secondo, ma qui non c’è traccia di astringenza in eccesso: tutte le componenti sono al loro posto e, per quanto possente al limite del masticabile, riesce a scorrere con una certa disinvoltura.
5. Messo alla fine perché è il più esplosivo della cinquina: la ricchezza quasi debordante spinge qualcuno a scomodare il Nuovo Mondo. Incenso, ebanisteria e crema di caffè incorniciano il frutto stra-maturo e anticipano un sorso altrettanto ricco, ma con acidità grintosa e salivante che sorregge la struttura imponente insieme a tannini cesellati. L’apporto del rovere è percettibile, ma perfettamente integrato: amplifica la chiusura prorompente, ma senza pesantezze d’alcuna sorta.
Prima della rivelazione delle etichette, c’è stato un dibattito che ha portato a due considerazioni fondamentali:
⁃ I vini in questione, per quanto molto diversi stilisticamente, erano tutti più o meno sullo stesso livello qualitativo. In molti hanno concordato sul fatto che il primo staccasse gli altri di qualche punto, ma la differenza non ci è parsa eclatante.
⁃ Individuare l’intruso altoatesino non è stato per niente facile: dello stereotipo del vino più verde, più tagliente e più rustico generalmente associato ai rossi da uve bordolesi di zona non abbiamo trovato nessuna traccia. C’è da dire, però, che la 2016 in Alto Adige ha fatto registrare temperature più alte della media. Sarà uno dei pochi risvolti positivi del cambiamento climatico?
Ed ecco la lista dei vini, con prezzi annessi:
1. Chateau La Mission Haut Brion – 670 euro
2. Tua Rita – Redigaffi – 215 euro
3. Kurtatsch – Très – non ancora in commercio (la 2015 viene sui 160-180 euro)
4. Chateau Pavie – 460 euro
5. Masseto – 1.500 euro
Il risultato finale è che Tres è riuscito a tenere testa ai mostri sacri, senza scavalcarli, ma ricalcandone alcuni degli attributi migliori. Othmar Doná, enologo storico dell’azienda che ha concepito questo vino prima di andare in pensione lo scorso anno, ha riconosciuto con grande onestà intellettuale il primato del primo e del quinto campione, rimarcando, però, come il dislivello sia parso a tutti moderato.
In chiusura, un appunto sul packaging: il team aziendale ha avuto la geniale idea di far disegnare ognuna delle 2.990 etichette di Très a Carmen Maria Alber, artista 21enne, originaria proprio di Cortaccia e figlia di conferitori della cantina. Il leitmotif è quello dell’argilla, che costituisce gran parte del terreno nel vigneto e gioca un ruolo fondamentale nel paesaggio di Cortaccia, caratterizzato da una grande falesia che s’inserisce tra il paese e i campi vitati. Un bel modo di impreziosire ulteriormente un vino importante nella sostanza e nella forma, che ha le credenziali giuste per diventare uno dei (pochi) fine wines rossi dell’Alto Adige.
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