di Leo Ciomei
Il mitico critico Valerio Massimo “Meridio” Visintin dalle colonne (eh, magari) del Corrierone dalla scorsa settimana ogni martedì ci delizia di una recensione di ristorante posto all’interno della cerchia dei Navigli. Purtroppo non sempre può scrivere quello che vorrebbe e deve attenersi a un decoro consono al livello del più che centenario quotidiano milanese.
Il vostro editor di fiducia ha provveduto quindi a tradurre il testo visintiniano, troppo misurato e scevro di dettagli. Il testo normale è del Vate, quello in grassetto mio.
Paolo Lopriore, chef inquieto ed errante come la sua chioma a nido d’allodola, è giunto a Milano nelle cucine del Tre Cristi sospinto da canti di gloria. E, a dirla tutta, ho il sospetto che quest’aura leggendaria non gli sia d’aiuto. Pazienza.
Traduzione: Paolo Lopriore (spero di averlo scritto bene questa volta), chef agitato e che ha girato tutti i parrucchieri di Lombardia prima di approdare a Milano ai Tre Cristi, spinto dai suoi soliti estimatori fissati con l’alta cucina che me lo fanno apparire già antipatico prima di conoscerlo.
Nel nuovo tempietto, incartato in un’eleganza compassata, soavemente anonima, Lopriore ha portato il vento delle sue invenzioni, calibrate su un paio di precetti moderatamente rivoluzionari. Che la maggior parte delle ordinazioni debba essere posta in comunione tra i commensali. E che si affidi alla cura e al gusto del cliente la composizione finale dei bocconi, schierando per ogni portata un ventaglio di opzioni.
Nel suo nuovo ristorante – dicono sia elegante ma io preferisco l’ambiente delle (poche) trattorie sui navigli – crea i soliti piatti da gastrofighetti, rivoluzionari come una visita all’Expo di novembre e con delle regole francamente incomprensibili (ma forse nei grandi ristoranti si fa così…). Come spiegare altrimenti che debba dividere con altri i miei piatti? e mescolare fra loro le pietanze che mi arrivano in tavola a volte in padella e nel tegame? Ma perchè quell’Hemingway della Bassa che dice di ammirarmi non mi ha detto che nei locali top si fa così? lui che li frequenta spesso dovrebbe saperlo… e invece mi fa fare brutte figure come quando ho esclamato felice “oh, ci dividiamo il cibo dal vassoio, come i tagliolini al salmone de La vecia Milan!”
Su queste premesse si innestano alcune trovate riuscite (la versione smontata di riso cozze e patate) e altre sbilenche (lo stucchevole cipollone con condimenti vari, compresa una terrificante clorofilla di alloro dal gusto medicinale). Tuttavia, è nei piatti di foggia tradizionale che Lopriore mostra con maggior chiarezza le corde di un rendimento instabile, scivolando su una “insalata di tagliatella con colatura di alici e pane all’aglio” gelida e sabbiosa; risorgendo con un delizioso “gnocco alla romana con agnello” cesellato da venature esotiche.
Beh, comunque quel riso con le patate e quel frutto di mare esotico, cozze mi pare si chiami (dicono che venga addirittura da un luogo chiamato Puglia ma chissà se esiste davvero!) non era male. Però quella cipolla sapeva di medicina, mi ha ricordato quando mamma mi dava il Buroxin dicendo che era aceto balsamico… Oh, non che gli altri piatti fossero meglio: la tradizione non fa per lui, arrivano piatti freddi come il prosciutto crudo dell’Esselunga, con sapori forti (colatura di alici: ma che le alici colano?).
C’è altro? Musichetta in sottofondo, come nei film degli anni Sessanta. Servizio cortese e compìto, ma in colpevole difetto di organico per un locale che pretende 75/90 euro per tre portate (bere a parte).
Poi quella fastidiosa musica non mi piace, almeno avesse messo nel mangianastri la cassetta dei più grandi successi di Nanni Svampa o l’inno dell’Inter… Però i camerieri sono bravi e puliti, mi hanno cambiato il tovagliolo e le posate e non hanno fatto le solite battute sulla pancetta che tengo. Certo che con quei 75/90 euro ci andavo a mangiare almeno tre volte alla Trattoria della Busecca. Più che i Tre Cristi qui al momento del conto ci ho tirato Tre Madonne!