di Giancarlo Maffi
Si lo so, di Pier Giorgio Parini quest’anno ne hanno parlato tutti ed io arrivo buon ultimo. Non solo, ho anche l’aggravante di non esserci mai stato fin d’ora. Stella Michelin e miglior giovane dell’anno per la Guida dell’ Espresso. Ormai c’è gente che litiga simpaticamente per la primogenitura della scoperta. Forse Luigi Cremona. Per certo Alberto Cauzzi ne magnifica da molto le gesta. Anzi ci passa del tempo, là dentro, anche tre quattro giorni insieme.
Tu Maffi te ne stai lì, timido timido. Ascolti il Cauzzi chiacchierare con il Fausto Fratti come se fossero parenti. Quelle sincronie fra gente che si vuole bene, che parla la stessa lingua.
Vanno di amarcord …. “ quella sera a Milano che mangiammo di merda da…. E tu chiamasti Cavallaro perché ci facesse mangiare anche tardi. “ Cose così, anche un po’ spiazzanti per chi ci mette piede per la prima volta, con l’aria quasi di scusarsi per essere arrivato tardi.
La colpa è del traffico autostradale dei gourmet. Mi sono sempre precipitato oltre, verso Senigallia. Soccia, chiedo venia. Il Fusto certo deve essere un personaggione mica da ridere. Per farvi comprendere il personaggio: al momento di ordinare i vini il Cauzzi si chiama fuori. Stasera non bevo. È solo un gioco delle parti, tirato per mettermi in mezzo. Io faccio boccucce e il Fausto dice: non si preoccupi,semmai c’è il vino della casa. Cazzo penso io, qui finisce a sangiovese del tubo. Per educazione non dico nulla. La domanda successiva del patron è: bianco, trebbiano, rosè cerasuolo o Montelpulciano d’Abruzzo? Ma gli scappa un rigo di sorriso e un’alzatina di ciglio. E allora capisco.
Porca miseria, il vino della casa è di Valentini, semplicemente in damigiane e non se ne parli più. Infatti arrivano al tavole le bottiglie con etichette a mano con la scritta Valentini. Ok, mi avete fanculato per bene. Avanti con il Trebbiano per cominciare, allora!
Parini non me ne volere se dico che spari troppi ormoni in cucina e meno di quelli che dovresti, bello e giovane come sei, in altra attività.
Mi dicono che fai trenta/ quaranta piatti nuovi all’anno. Fanne meno, non tanti solo un po’ e un poco più precisi e meno istrionici, con maggiore grado di finezza e di densità. Anche un uso più continuo e persistenze più decise nel campo vegetale.
Quel tentativo con la carota è ben accennato. Bisogna proseguire con maggiore profondità.
Poi è vero che i tuoi piatti lasciano lunghezza in bocca , proprio bella lunga, talvolta però partendo da concetti non chiari. Alcuni perché altri mi hanno fatto sbarellare, sia chiaro: i piatti vegetali passano dal netta e vai centrato di insalata di zucchine marinate, finocchi e maionese al dragoncello
all’eccessiva densità gustativa della rapa rossa, oltretutto pericolosamente declinata anche nel dessert, dove finisce per essere se non proprio stucchevole almeno stancante.
Di geniale costruzione e perfida finezza incisiva il brodo di canocchie con tortellini di mare e
il quasi inarrivabile riso in bianco descrizione giocosamente minimalista per un piatto che si può definire la perfezione dell’evoluzione di un concetto base, il risotto, qui così evoluto da stupire perfino un brontolone come il sottoscritto .
Due piatti di assoluto livello, che valgono il viaggio. Da 19 / 20
Notevoli, seppur non a queste altezze, il baccalà e castagne affumicate, te nero
e anche l’animella, pioppini e salsa all’angelica, dove la fantastica materia prima se la gioca con due costruzioni millimetriche che denotano tra l’altro, come già detto sopra, una lunghezza gustativa notevolissima.
A questo livello anche tutto il piccione con materia prima non convenzionale.
Corretti ma non indimenticabili altri due piatti del copioso degustazione: mazzancolle, sugo di cavolo nero
e cappelletti d’anatra con polvere di fegato d’anatra e spezie.
Da buttare alle ortiche il latte e cioccolato, solo esercitazione tecnica probabilmente pensata per fare da introduzione al riso in bianco già citato.
Interessante in chiusura il gelato di castagne, crema di fagioli e sedano rapa e
la mela, ricotta e aceto, anche se i dessert in Italia restano un tallone d’Achille. Insomma siamo volonterosi, ma nulla più.
CONSIDERAZIONI FINALI
L’evoluzione di questo chef non è certo terminata. Gli aspettano certo altri onori.
Anche oneri, però. Quelli di non deludere chi si aspetta una concretizzazione assoluta del suo certo notevolissimo estro creativo, perché a mio modesto parere c’è ancora un po’ di strada da fare. E non è certo detto che i consensi eccessivi e gli innamoramenti furibondi dei suoi adoratori gourmet siano un buon viatico.
PS: la citazione per la signora Fratti, Stefania, la metto qui a parte.
Sapete quelle donne che fanno la fortuna di un uomo? Ecco , lei è di quel tipo lì.
Torriana (Rimini)
Via Roma 30
Tel.0541.675060
www.ristorantepoverodiavolo.com
Chiuso mercoledì.
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