Torre del Saracino di Gennaro Esposito a Vico Equense
Via Torretta 9
Tel. 081 802 8555
Aperto a pranzo e cena. Domenica solo pranzo, martedì solo cena
Lunedì chiuso
di Giulia Gavagnin
La sintesi è un dono, ma è anche una pratica cui si giunge dopo anni di esercizio. Si nasce giovani rivoluzionari, si raggiunge un primo equilibrio, poi spesso si diventa manieristi e nella peggiore delle ipotesi barocchi. Chi il dono lo possiede davvero ha la fortuna e la capacità di divenire neoclassico, come nell’arte e nella letteratura.
Capace, cioè, di far rilucere forma e sostanza insieme senza inutili orpelli per mezzo delle proporzioni auree proprie di ciascun campo espressivo. In altre parole, raggiungendo la maturità intellettuale che conduce alla semplicità apparente, che è la cosa più difficile.
Questo sembra essere stato il percorso di Gennaro Esposito, oggi il più grande cuoco di cucina campana classica, o per meglio dire neoclassica, nel senso sopra indicato. Nei suoi piatti, che attingono a piene mani dall’enorme giacimento gastronomico della regione, non c’è nessun senso di autocompiacimento, di esercizio di stile, di voler dimostrare al mondo quanto bravo sia (e lo è assai).
I suoi signature-dishes, come la minestra di pasta mista con crostacei e pesci di scoglio sono addirittura banali nel loro essere iper-tradizionali, ma recano quello che è il vero lusso contemporaneo, per riprendere uno dei dibattuti temi della “crisi del fine dining” di cui si parla da mesi. La concentrazione dei sapori.
Anche noi, giunti alla maturità gustativa, dopo esserci fatti sedurre nel corso degli anni da piatti apparenti, uova che erano fatte di tutt’altro, fumosi azoti liquidi, manzo che sembrava tonno e la lasagna che voleva essere una ciambella, abbiamo capito che la vera goduria risiede laddove il pomodoro sa di pomodoro, la fragola di fragola, e la zucchina assolve al suo bravo compito di zucchina. Tutto questo, nella regione baciata dal sole, in particolare in un’area di radici storiche millenarie e nelle mani di uno chef che il mestiere lo conosce in ogni minimo dettaglio, diventa oro puro del Vesuvio, che pure ci guarda di fronte.
A tutto ciò si aggiunga un luogo incantevole, un’antica torre di avvistamento dei saraceni che dà direttamente sul Golfo che tutto il mondo ci invidia, con l’intensità di blu che solo da qui si gode, la vista sul vulcano che in giornate di cielo terso erutta (nella realtà speriamo di no, ovviamente) tutta la sua energia e che ritroviamo, pari pari, alla tavola di Vico Equense.
Gennaro Esposito e la Torre del Saracino, in questo momento storico, rappresentano per la Campania quello che è stato Don Alfonso e che, ovviamente gli auguriamo di tornare a essere dopo la riapertura, cioè la tavola borghese più rappresentativa della regione.
Un luogo dove lasciarsi trascinare dal lungo menu degustazione (dodici portate a 280 Euro, ma con possibilità di ridurre il percorso a otto e a cinque portate per 220 e 190 Euro) ovvero, come molti clienti abituali fanno, anche solo da qualche piatto à-la-carte, sempre con la certezza di ritrovare sapori familiari ma di intensità superiore per concentrazione ed energia, in una cornice di bellezza superiore.
Così, il percorso inizia sempre con l’aperitivo servito all’interno dell’antica torre, con qualche amuse bouche che dipinge già il manifesto programmatico di Gennaro Esposito. Bocconcini con palamita, spuma di friggitelli, Champagne o altro metodo classico a seconda dei gusti.
Nel lungo menu degustazione non c’è traccia di ingrediente alloctono, e tutto è perfettamente assemblato per funzionare in armonia, senza elementi di dissonanza dodecafonica, ma nemmeno appiattimenti verso il basso. L’attenzione e la curiosità sono sempre ben desti.
L’ostrica, cui oggi moltissimi chef stellati affidano l’ouverture dei propri menu, è accompagnata da cantalupo e kumquat; le alici da una palette di fichi d’india e salsa di agrumi. Se non è mediterraneo da pura vida questo!
Tornando alla famosa “concentrazione”, la salsa al pomodoro cuore di bue che accompagna la ricciola marinata con hummus di ceci è una chiara esemplificazione del concetto, perché del pomodoro si sente tutto: la pianta, la polpa, il sole. Questo è il vero lusso.
Che personalmente ho apprezzato ulteriormente in due piatti dagli ingredienti umili: il cipollotto nocerino grigliato con spuma di pappacelle e nella zuppa di pianta di zucchine con gambero rosso e gnocchi dei suoi fiori. Perché dove il vegetale dà il suo massimo, in quel piatto non ce n’è più per nessuno.
Parimenti, quando il dolce della frutta arricchisce anziché coprire con la componente zuccherina: l’anguilla del lago Miseno alla brace con composta di albicocche del Vesuvio, topinambur e tamarindo, non fa rimpiangere l’arte dei giapponesi nella preparazione dell’anguilla.
La cui lezione Esposito ha imparato alla grande, perché il succo di prugne in uno spettacolare risotto al basilico con pesce bandiera dà quella marcia in più.
Di altissima scuola anche l’agnello laticauda “coda chiatta” col peperone ‘mbuttunato, olive di gaeta, percorche e tartufo. Più campano di così si muore, peccato sia giunto al termine di un menu felicemente infinito.
Anche i dolci, molto classici, ma deliziosi. Tartelletta ai fichi e provolone Delmonaco e Pesca nettarina, mascarpone di bufala e basilico.
Il percorso di abbinamento con i vini è stato di altissimo livello, con inserimenti da vari paesi europei, annate vecchie di grandi aziende italiane e assonanze sempre indovinate: segno di grande capacità e consolidata esperienza.
Il viaggio da Gennaro Esposito mi ha fatto venire in mente le profetiche parole di Paul Bocuse che non si sono realizzate: che l’Italia sarebbe diventato il paese dominante nell’universo gastronomico per la superiorità delle sue materie prime. Purtroppo non tutti hanno il talento e la capacità di Esposito di valorizzarle e assemblarle all’ennesima potenza. Tuttavia, in una delle regioni più feconde dal punto di vista delle risorse, Torre del Saracino rappresenta un viaggio sentimentale, quasi enciclopedico nei sapori della Campania. Probabilmente, al momento, una delle tavole più complete d’Italia.
qui di seguito la nostra scheda del 16 settembre 2022:
Torniamo come ogni anno alla Torre del Saracino, un bistellato che ha il grand pregio di restare aperto undici mesi l’anno e soprattutt non solo la sera. Risolte alcune questioni rimaste in sospeso, troviamo Gennaro Esposito nel pieno della sua maturità professionale, sereno e fiducioso con lo staff integro nonostante gli anni del Covid e la chiusura prolungata in Primavera.
Abbiao scritto tanto di Gennaro e c’è poco da aggiungere se non fotografare il suo momento: ossia quello di un ristorante completo, a nostro giudizio il più completo della Campania per qualità della cucina, servizio, lunghezza dell’apertura, posizione.
La sua cucina classica pesca nei prodotti del territorio, di mare come di orto, una cultura gastronomica che ha sempre dovuto fare i conti del food cost avendo l’ambizione di lavorare ai massimi livelli. Ecco perchè vi consigliamo, almeno la prima volta, di fare il percorso completo, compresi i finger, divertenti bocconi di freschezza, appaganti, a volte estremi, a volte ecumenico.
Report 4 ottobre 2021
Ci rivediamo, come ogni fine anno da almeno dieci anni, con i cari amici Antonella Amodio e Giovanni Ascione, per un pranzo di assaggi di vecchie bottiglie, Antonella si supera con il Brunello Biondi Santi del 1998.4
Stavolta siamo da Gennaro Esposito: un grande classico affidabile che regala sicurezza ed emozioni, una esperienza compiuta che inizia con l’aperitivo nella Torre fra musica e un bicchiere di Champagne e termina con dolci leggeri e non stucchevoli che apre le porte ad una pasticceria moderna e aggiornata.
Il percorso ci regala uno straordinario risotto con una centrata salsa al finocchietto che vira verso la freschezza, un agnello di scuola ducassiana, una linguina alla Gennaro, piatti della memoria come il cefalo arrostito. Insomma un pranzo completo. I prezzi: da 140 euro con quattro portate a 180 euro con otto passando per quello a sei da 160.
Il grande merito di Gennaro fra i tanti di cui abbiamo sempre scritto: uno dei pochi bistellati veri che fanno ristorazione undici mesi l’anno.
L’aperitivo della Torre del Saracino
Il menu di Gennaro Esposito
Giugno 2020
Gennaro Esposito Torre del Saracino
Gennaro Esposito non è mai stato chiuso così a lungo. Ricordiamo infatti che il bistellato campano fa solo un mese di festa all’anno, in genere tra gennaio e febbraio e anche per questo ha un pubblico campano affezionato che non lo abbandona mai.
Siamo tornati dopo le tante polemiche e lo abbiamo trovato in grande forma. La sua è una cucina neo classica, nel senso che ha assorbito tutte le novità tecniche e concettuali degli ultimi vent’anni senza però scimmiottare le mode del momento, soprattutto quella che trasforma l’intero pranzo in una sequenza interminabile di tapas o di assaggi in stile spagnolo-nordico-giapponese che va bene in una aperitivo ma certamente non coincide con il modo italiano di concepire il pranzo che ha sempre un acuto.
Insomma, tante portate sono come un petting infinito senza l’orgasmo, l’acuto, il momento clou.
Per cui il suo aperitivo è, appunto, una seria, in genere una decina, di piccoli bocconi che da soli sarebbero grandi piatti, per poi partire con gli antipasti, i primi, secondi e dolci secondo l’italica scansione.
Del resto lui lo aveva detto in un intervista che ci ha rilasciato per il Mattino durante il lockdown: in questo mondo globalizzato il segreto è restare italiani, ossia caratterizzarsi per qualcosa che altrove non si trova. Italiani della Penisola Sorrentina significa sposare la filosofia dell’orto-mare, la Dieta Mediterranea in cui gli alimenti sono in equilibrio e dove non si proibisce niente. Un equilibrio che Gennaro Esposito ormai ha ritrovato in tutti i piatti che sono pensati per piacere ai clienti e non alla critica. “Siamo in una fase nuova -ci dice – quello che è stato importante, indispensabile, sino a qualche tempo fa ora non lo è più. Dobbiamo renderci conto che il mondo è cambiato, e certi rituali, forse anche alcuni obiettivi, ormai sono superati, nel senso che non servono a nulla se non hai la capacità di riempire la sala.
Non c’è dunque la ricerca dello stupore, ma della solidità. L’effetto che si vuole è il consenso di chi sta a tavola, l’appagamento gioioso del cibo, sapori che fanno sentire subito a casa e che non richiedono ulteriori spiegazioni.
La sua padronanza tecnica è totale, il nostro chef è ormai nel pieno della sua maturità espressiva e lo si vede dal consenso che riesce ad avere ovunque va. Anche IT a Milano ha ripreso a camminare molto bene. I primi sono primi, sia di pasta che di riso, i secondi mai banali, gli antipasti golosi, la pasticceria da sola vale il viaggio.
Ecco allora la cavalcata che abbiamo fatto con Guido Barendson, accompagnati da bianchi ormai fuori carta che il bravissimo Gianni Piezzo ci conserva per l’ormai nostra consueta visita annuale.
Il bello di questo posto? Tornarci il giorno dopo, e magari ancora quello successivo. Insomma, è un ristorante, non un laboratorio.
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