La Quaresima come punizione del corpo, digiuno, sofferenza, penitenza, espiazione? Per i credenti praticanti è sicuramente così, ma si sa il margine che la cultura cattolica lascia tra realtà e prescrizioni. Se poi sei nato a Napoli e dintorni allora questo periodo diventa l’ennesima occasione per provare piatti favolosi come la frittata di pasta, le uova in purgatorio, pane fritto con alici salate, capperi e olive, pasta e cavolfiori, patate e foglie, broccoli scoppiettati, persino le zeppole, e poi ancora aglio e olio e peperocino, olio o spaghetti olio e limone.
Sono solo alcune delle ricette di nonna Mariuccella raccolte da Tommaso Esposito nella sua ultima fatica, Il Pesce e l’olio, mangiare d Scammaro, edito dal Museo di Pulcinella di Acerra: «L’idea che la Quaresima sia il tempo dell’astinenza e del digiuno ha attraversato la storia degli ultimi 500 anni. Con questa piccola antologia di testi e il ricettario della nonna, offriamo una prospettiva diversa. Scopriremo che la dispensa non è stata mai vuota e che fornelli non sono mai rimasti spenti».
I cultori di gastronomia si allieteranno, oltre che della prefazione della nostra Santa Di Salvo, anche dei testi di Pasquale de Baroni Mattej, Saverio Mattei, Mineo Piccinni e Ippolito Cavalcanti. Ne emerge il solito quadro di una città ossessionata dal cibo, così come la descrivono tanti viaggiatori stranieri e così come, in parte, ancora oggi è così.
La grande forza della gastronomia napoletana povera è stata aver fatto della fantasia e della immaginazione il principale ingrediente. Sul desiderio di carne nascono il ragù, la genovese, la minestra maritata, le polpette di pane, l’amore per le interiora tipico delle grandi città, le opulente preparazioni vegetali come la parmigiana, la scarola imbottita, la ciambotta, le paste con i legumi e mille altre cose ancora.
La Quaresima con il divieto di mangiare carne mette in fondo solo un piccolo ostacolo formale, perché gran parte della cucina povera è senza grassi animali, ossia mangia di scammaro.
Da dove viene questo etimo? Ce lo spiega lo stesso Esposito. «Cammera e scammera: di grasso e di magro; cammerià, mangiar di grasso; perché i monaci, quando per infermità erano esentati dal mangiar di magro ne’ giorni prescritti, mangiavano soli in camera loro».
Aggirare la Quaresima con le mille ricette e fantasie delle nonne Mariuccella che hanno cresciuto i napoletani negli ultimi due secoli.
Medico per professione e gastronomo colto e raffinato per passione, Tommaso Esposito, collaboratore del Mattino, è alla sua terza prova dopo Note in Pasta e ‘A Pizza, vaggio nella canzone napoletana, in cui si ricostruisce una memoria collettiva che rischia di andare perduta in una comunità che, come scrive Jean Noel Schifano, vive solo il presente senza culto per il passato e ansia per il futuro. Qui però i rischi sono ancora più gravi con l’arrivo della omologazione alimentare che impone spesso modelli nell’alta ristorazione come nei consumi quotidiani e verso la quale Napoli continua a resistere grazie al rito della stagionalità e all’amore per il cibo che resta intatto e infinito.
Il proposito di Esposito è di incentivare questa sua attività di ricerca e di questo gastronomi, cuochi e appassionati non potranno che essergli grati.
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