The Clove Club: la nuova cucina britannica Mediterraneo free

Pubblicato in: Londra

The Clove Club a Londra
Shoreditch Town Hall
380 Old St
Aperto la sera, dal giovedì al sabato anche pranzo
Chiuso domenica e lunedi

 

di Giulia Gavagnin

In principio erano i Giovani Turchi. No, non facinorosi ottomani in lotta per l’autonomia nazionale e nemmeno ragazzotti britannici ispirati da una celebre canzone di Rod Stewart. Piuttosto, “enfant terribles” con attitudini pan-artistiche, portati alla commistione tra musica elettronica ed espressioni variegate, tra queste –pensate un po’- la culinaria.

La storia è avvincente, poco ha a che vedere con episodi à-la-Ken Loach di sfruttamento, turni interminabili, grembiuli stracciati, studio matto e disperatissimo, volli e fortissimamente volli prima di arrivare a veder le stelle.

Siamo in Croazia nei primi anni duemila, due deejay della wrong side of town di Londra, l’East Side (questo sì, Loachiano) incontrano a un festival musicale un apprendista chef scozzese dall’accento pronunciato alla Alex Ferguson. Loro sono Daniel Willis e Johnny Smith, lui è Isaac McHale, junior sous chef da The Ledbury, due stelle Michelin e cucina francese ingentilita dall’incipiente successo dei gastropub. I due elettromusici organizzano feste private e clandestine ma, attenzione, di giorno lavorano come camerieri per il St. John di Fergus Henderson, il Diego Rossi di Londra vent’anni prima di Trippa, per dire, il personaggio dopo il quale la cucina modern british non è mai più stata la stessa.

Si costituisce un trio, nel senso che i deejay di notte organizzano feste più o meno autorizzate e il cuoco si occupa del catering. Si, ovviamente, catering per modo dire. E’ qui che sperimenta i piatti propri, alcuni sotto forma di finger food, di cui si inizia a parlare insistentemente.  I tre divennero gli Young Turks, portatori di una visione decisamente diversa di fare “ristorazione”, con eventi mitologici al confine tra realtà e fantasia.

A un certo punto, dopo essere entrati nell’orbita dell’intellighenzia internazionale, giunse il tempo di diventare grandi e aprire un ristorante.

Dopo qualche serata nel pub dove –leggenda vuole- Jack lo Squartatore sparse giovane sangue, McHale trova il luogo adatto per aprire il Club dei Chiodi di Garofano.

The Clove Club apre i battenti nel 2013 all’interno del palazzo vittoriano della Townhall di Shoreditch, ex sobborgo proletario da case basse di mattoni, ora regno degli hipster e loro varianti. Un quartiere che nei primi Dieci del duemila era tutto un ribollire urbano, costellato di bar etnici e graffiti, a pochi passi dagli ipermoderni e scintillanti grattacieli di Bank e Liverpool Street.

In qualche modo, affermazione di un luogo dell’anima, in contrapposizione alla tracotanza del capitalismo bancario che ha reso Londra una delle città più care al mondo.

Il quartiere era quello degli artisti, gli amici però sono stati subito quelli giusti.

Il passaggio al Noma di McHale favorì certamente il più alto nuovo ingresso nella 50Best nel 2016, dalla quale The Clove Club non è mai più uscito. Dal 2022 ha preso la seconda stella, ma in città si dice con insistenza che primo o poi prenderà anche la terza.

Clove Club è un locale sobrio, con una grande cucina a vista open air, cuochi giovani e biondi con il grembiule blu che si danno un gran daffare avanti gli ospiti con ampio set di coltelli e pochi macchinari. Una cucina d’assemblaggio, parrebbe a prima vista, con grande attenzione per cotture veloci e marinature. Una cucina di viaggio, anzi, di spedizione per mare, dacchè lo scozzese McHale ha saltato a piè pari i tributi alla Francia e all’Italia, cercando di dare dignità e –soprattutto- identità alle proprie radici, con appropriate suggestioni coloniali da Compagnia delle Indie.

Un locale essenziale, con piastrelle blu dietro ai fuochi e un candido tovagliato; una cucina parimenti snella e diretta, di cotture veloci e marinature chirurgiche, fanno pensare quasi a una bistronomie-de-luxe essenziale che rifugge ogni possibile grandeur. Inducendo a pensare che la Galassia 50 Best interpreti l’eccellenza nel senso dell’asciuttezza minimal, di uno spirito indie-rock sostenibile anziché bourgeois, altrimenti sarebbe locale da Mayfair, non Shoreditch.

Il menu si è cristallizzato negli anni, vi sono alcuni piatti inamovibili e altri stagionali. L’entrèe che mai uscirà dalla carta è il pollo fritto con panatura al latticello e sale di pino.

Gli altri piatti che rendono McHale particolarmente orgoglioso del proprio percorso sono la sardina sashimi allo zenzero e crisantemo, di grande intensità e il Taco Scozzese di grano saraceno e sangue di maiale che gli ha ispirato la visita in Messico da Quintonil.

Rischia di diventare un classico anche le capesante alla nocciola, mandarino e tartufo scorzone rigorosamente inglese.

Va detto, sedere da The Clove Club vuol dire chiudere gli occhi e sentirsi tra le piovose e frastagliate scogliere delle Highlands, non esiste un piatto che ricordi un’esperienza mediterranea perché McHale vuole comunicare esattamente questo, il mare, il vento, la pioggia, l’ammainare le vele.

Eppure, la trota affumicata del Wiltshire al latte di mandorla è delicatissima, nordica ma con dolcezza.

Così la guancia di maiale, magari un po’ troppo vista, ma impreziosita da un pancake al suo sanguinaccio e, per non farsi mancare ancora nulla di terribilmente locale, l’Haggis con l’agnello cotto lentamente e cavolo nero.

Chiunque si avvicini alla “nuova cucina britannica” deve sapere che non troverà il sole, ma si avvicinerà a un viaggio a tratti periglioso per mari anche in tempesta e notti oscure.

Il viaggio è anche questo: incognita, poca rassicurazione, carezze alternate a qualche schiaffo.

Ed è lecito attendersi questo dal più grande popolo di marinanti conquistatori, che in fondo stanno conquistando un posto, questo sì al sole, anche nel mondo della gastronomia mondiale.

The Clove Club a Londra
Shoreditch Town Hall
380 Old St
Aperto la sera, dal giovedì al sabato anche pranzo
Chiuso domenica e lunedi

 

 


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