di Raffaele Mosca
Davanti ai blasoni che finiscono in -aia – o in -ello – tutti si sperticano in celebrazioni acritiche. Del resto chi ha voglia di andare contro il giudizio di alcuni dei grandi palati internazionali che hanno foraggiato l’aura di leggenda intorno a queste etichette? Chi osa mettere in discussione il primato storico di questi vini? Giusto qualche vinnaturista bellicoso, inconsapevole del fatto che, se non fossero esistiti Supertuscans e affini, oggi l’Italia del vino come la conosciamo non esisterebbe… e non esisterebbero nemmeno i vini “veri” che amano tanto e che, per quanto eversivi, hanno comunque beneficiato dell’immagine positiva del vino italiano creata dai più pionieristici tra i cosiddetti vini convenzionali.
Detto questo, confesso di non essere mai stato incondizionatamente innamorato di Sassicaia. Lo trovo un vino assolutamente straordinario in alcune annate felici: per esempio la 2015, la 2016 e la 2019. Inferiore in altre più ostiche – come la 2014 o la 2012 – e solido, ma non travolgente, in certe di mezzo (per esempio 2013 e 2017). A una verticale organizzata all’hotel Cavalier di Roma nel 2018, mi era stata servita anche la mitica 1985 da 100 punti Parker, che, complice forse una bottiglia non troppo felice, era parsa molto meno in forma rispetto alla fantastica ‘88.
La 2021, assaggiata alla presentazione dei tre bicchieri del Gambero Rosso e non fotografata per ragioni di fila al banchetto, è stata l’annata più unanimemente acclamata dell’ultimo decennio insieme alla 2016. Ma rispetto a quest’ultima, di cui ho un ricordo nitido, avendone bevuta una bottiglia giusto un paio d’anni fa, mi è sembrata addirittura piú fine.
Meno cupa già dal colore, di trasparenza e luminosità quasi inusitate per Bolgheri, dove di vini inchiostrati se ne vanno ancora troppi. Il profumo è sottile e allo stesso tempo ipnotico: eucalipto, bacche nere, mirtilli freschi, cannella e bergamotto, un tocco di spezie orientali e soffi floreali in crescendo. Mi è parsa quasi più influenzata dal Cabernet Franc che dal Sauvignon, che, però, dovrebbe essere maggioritario nel blend. Ancor più meravigliosa del naso è la bocca: tutta giocata in sottigliezza, con tanto nerbo, ma nessuna asprezza, anzi una fusione perfetta di frutto delicatissimo, acidità e tannino e un finale di purezza adamantina. Giovane? Indubbiamente… ma una bottiglia me la berrei seduta stante con un filettino di manzo. Peccato solo che il prezzo all’esordio sia aumentato vertiginosamente nell’arco di un decennio e che berne anche una sola bottiglia una tantum sia diventato difficile. Ma i Supertuscans – si sa – sono un lusso per pochi, e la fortuna è che, grazie anche al successo di Sassicaia, che ha fatto da volano per la Toscana e l’Italia tutta, bere vini di questa caratura è solo uno sfizio, perché di buoni a prezzi abbordabili ce ne sono migliaia!
( Photo credits: Meregalli)
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