Il bello della Rete è questo: un tweet, un messaggio privato a Sergio Di Loreto ed eccoci già in macchina direzione Castagneto Carducci, a due passi da Bolgheri e da altri miti del vino italiano.
La giornata è stupenda, c’è un caldo primaverile e l’odore del mare, avvicinandoci all’Ornellaia, è sempre più netto.
Arriviamo a metà mattina e Di Loreto, senza esitare, ci porta subito a visitare uno dei posti più romantici ed evocativi di tutto il territorio maremmano: la quercia dell’Ornellaia.
La Via dei Cipressi taglia in due la collocazione dei vigneti aziendali che si estendono per circa 99 ettari di cui 41 nell’area della Tenuta ed i restanti 58 nell’area denominata “Bellaria”, più vicina al mare e dove la quercia sembra essere il suo faro centenario.
Il panorama è stupendo, unico, così come le vigne che a Bellaria formano un puzzle davvero variegato visto che, piantati su terreni di varia natura geologica, possiamo trovare piante relativamente giovani di merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc, petit verdot a cui seguono piccole parcelle di vigneti a bacca bianca come sauvignon blanc, viogner (circa 3 ha) e petit manseng (circa 1 ha). Densità abbastanza importanti, siamo sulle 7.000 piante per ettaro.
Col fido Range Rover nero continuiamo il tour e passiamo accanto ai vigneti storici dell’azienda, quelli voluti ed impiantati nei primi anni ’80 da Lodovico Antinori che per il suo ambizioso progetto si avvalse dell’aiuto di André Tchelistcheff, mito dell’enologia della Napa Valley, il quale, secondo un aneddoto molto divertente, ad un Antinori deciso ad investire negli Stati Uniti disse:”...ma dove vai che il vero Eldorado ce l’hai su queste terre...”.
Dopo aver girato alcuni minuti tra i 40 ha di vigneti storici, sparsi in vari appezzamenti (in Ornellaia possiamo contare circa 50 lotti), con Sergio Di Loreto abbiamo approfondito il tema della variabilità geologica dei vari terreni dell’Ornellaia che, anche ad occhio nudo, appare evidente. In effetti, mi viene spiegato, all’interno della Tenuta confluiscono tre elementi della natura dei suoli: marino, alluvionale e vulcanico. Partendo dalla parte più vicina alla montagna, quella più interna, per andare verso il mare troviamo la zona più ricca di ciotoli a matrice sabbiosa o argillosa e un Pliocene con lamina di calcare, fango e sabbia.
Nella parte più pianeggiante prevalgono i ciottoli di forma irregolare di varie dimensioni inseriti in una matrice sabbioso-argillosa con sabbie rosse (sabbie della Val di Gori) e di origine calcarea.
L’Area più vicina al mare è, a sua volta, divisa in tre sotto-aree distinte: la parte più alta è ricca di calcare con grandi pietre attribuibili alla deposizione turbolenta fluviale. La parte centrale vede suoli leggermente più spessi e meno calcarei, con ciottoli di dimensione inferiore a quelli della zona sovrastante in una matrice argillosa. La parte più vicina al mare fa prevalere degli strati con una sedimentazione più fine con ghiaia a grana grossolana.
Faccio appena in tempo a prendere gli ultimi appunti che ci fermiamo davanti al mito: il vigneto Masseto.
Piantata totalmente a merlot, grazie all’intuizione di Thcelicheff che credette subito nelle sue potenzialità, questa collina viene divisa formalmente in tre fasce: Masseto Alto (in celeste), Masseto Centrale (in giallo) e Masseto Junior (in rosa).
Masseto Alto, situato ad un’altitudine di circa 120 metri sul livello del mare, ha terreni composti da argille sciolte e sabbie ricche di ciottoli. Le uve di questa zona sono spesso le prime a essere raccolte, soprattutto nelle annate più calde. I vini che si ottengono da questa zona sono densi, piuttosto “lineari”, ma senza essere opulenti..
Masseto Centrale, la parte centrale del vigneto caratterizzata da pendenze del 10%, ha la percentuale più elevata di argille plioceniche e le uve che ne derivano rappresentano l’anima del Masseto offrendo al vino potenza, concentrazione e apporto tannico.
Masseto Junior è la zona più bassa del vigneto, con terreni argilloso-sabbiosi. I suoi vini sono i più leggeri ma sono preziosi per ammorbidire la ruvidezza dei tannini degli altri vini e concorrono in modo sostanziale alla finezza del vino assemblato.
La cantina, localizzata a pochi passi dal vigneto Masseto, è una struttura dalle linee architettoniche innovative ed è perfettamente integrata nell’ambiente ed entrarci fa un po’ tremare le gambe.
Appena si entra non si può fare a meno di ammirare tutte le creazioni d’arte relative al progetto Vendemmia d’Artista che, prendendo il via nel 2006 con la vendemmia 2006, ha come scopo quello di celebrare il carattere unico di ogni nuova annata di Ornellaia attraverso la creazione di etichette esclusive che andranno a vestire una selezione limitata di bottiglie Doppio Magnum (3 litri), Imperiale (6 litri) ed un unico esemplare di Salmanazar (9 litri).
L’annata 2012, l’ultima in commercio, è stata definita “L’Incanto” e per interpretare questo carattere l’Ornellaia ha invitato l’artista svizzero John Armleder a creare un’opera d’Arte ‘site specific’ per la Tenuta ed esclusive etichette singolarmente firmate in originale che vestono 111 grandi formati di Ornellaia: 100 bottiglie doppio Magnum (3 litri), 10 bottiglie Imperiali (6 litri) e un’unica Salmanazar (9 litri).
Superiamo una prima porta, una seconda, ed eccoci all’interno della cantina di vinificazione dove spiccano le vasche di acciaio idonee alla fermentazione dei vari vini. Evitando si soffermarmi sulle varie tecniche che l’azienda usa per ottenere la massima qualità in vendemmia, quello che mi piace sottolineare è che l’enologo Axel Heinz vinifica separatamente tutte le singole parcelle, sia del vigneto di Bellaria che quello della Tenuta, ottenendo circa 60-65 vini base.
Per il Masseto il discorso è lo stesso: ciascun serbatoio di acciaio rappresenta un determinato appezzamento del vigneto: Masseto Alto, Centrale e Junior.
Il momento cruciale arriva quando tutte queste “basi” dovranno essere assemblate per comporre i vari vini con l’obiettivo di esprimere contemporaneamente la personalità del prodotto associata alle caratteristiche dell’annata.
Ovviamente non tutti i vini base che nascono nel vigneto Ornellaia e Masseto saranno all’altezza del nome. La decisione di scartarli o tenerli dipende da molteplici fattori e se la qualità non risulterà idonea a rappresentare i vini di punta, le uve confluiranno nel “secondo vino” chiamato “Le Serre Nuove dell’Ornellaia”, nato la prima volta nel 1997.
Dopo l’assemblaggio, i vini torneranno in barrique per un periodo che varia tra i sei mesi (Ornellaia) ed un anno (Masseto). Dopo altri 12 mesi circa di affinamento in bottiglia usciranno sul mercato.
Leonardo Raspini, che al momento della visita ancora era il Direttore dell’Ornellaia, ci aspetta nella sala degustazioni che si affaccia sui vigneti che circondano tutta la Tenuta.
Parliamo di vino e di vita mentre ci versa nel calice il bianco per eccellenza dell’Ornellaia, il Poggio alle Gazze 2013 (base sauvignon blanc con piccole percentuali di viogner, vermentino e verdicchio). Questo vino ha una storia travagliata: uscito per la prima volta nel 1987 con una produzione di circa 80.000 bottiglie, ha conosciuto un periodo di stanca nei primi anni del 2000 tanto che la dirigenza, puntando in quegli anni decisamente sui rossi, aveva deciso di estirpare i 12 ettari di sauvignon blanc per rimpiazzarli con merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc. La nostalgia per quel bianco voluto nel 1981 da Lodovico Antinori, col tempo, ha avuto la meglio per cui, dopo aver di nuovo impiantato il vigneto, nel 2009 è uscita la prima annata della nuova era del Poggio alle Gazze.
Il vino si presenta nel bicchiere di colore giallo dorato e al naso esprime bene un ricercato equilibrio tra la parte morbida del vino scandita da toni di pasticceria e la parte più scalpitante e dura che si materializza in un bouquet di aromi agrumati e floreali. Al sorso è rotondo, perfettamente equilibrato, di buona spinta aromatica e dotato di un finale pregno di richiami olfattivi. Vinificazione in barrique usate per il 33%, in barrique nuove per il 33% e in vasca d’acciaio per il 33%. La maturazione si è prolungata per 6 mesi sulle fecce con batonnage periodico su tutto il periodo. Affinamento in bottiglia di 12 mesi prima dell’immissione sul mercato.
Passiamo poi a degustare l’Ornellaia nelle due annate 2010 e 2011. Leonardo Raspini ci tiene al confronto perchè trattasi di due annate completamente diverse e, pertanto, espressioni di due vini dalle anime completamente dissimili.
Il primo deriva da un’annata fresca ed abbastanza equilibrata e già al naso è possibile capire l’anima “candida” di questo vino (53% cabernet sauvignon, 39% merlot, 4% cabernet franc, 4% petit verdot) che profuma di macchia mediterranea, fiori rossi e frutta selvatica. Seta rossa aromatica che ritrovo anche al sorso dove la i tannini, fittissimi, sono di straordinaria eleganza e si intersecano in un corpo agile e scattante dove ritornano i profumi di mare e terra bolgherese. Finale sapido, cesellato, di interminabile succosità.
La 2011 (51% cabernet sauvignon, 32% merlot ,11% cabernet franc, 6% petit verdot), vendemmia battezzata dalla Tenuta come “L’Infinito”, è stata un’annata calda che ha condotto ad una raccolta anticipata delle uve (fine settembre). Naso giovane, ancora abbastanza chiuso, che fa però emergere tutta la materia solare di cui è composto il vino che ad oggi è pregno di frutta di rovo, spezie e ventate balsamiche ma che con gli anni, ne sono sicuro, esploderà in tutta la sua complessità e progressione. Al sorso è denso, nobile di trama fenolica e di straordinaria forza. Ha ancora un equilibrio in divenire ma il prezioso finale, illimitato per estensione, mi fa convenire con Raspini che sì, ha ragione, questo è un vino dal potenziale infinito.
L’ultima chicca mi è stata riservata durante il pranzo nella Tenuta quando, per la prima volta, ho degustato il vino dolce di Ornellaia chiamato Ornus. E’ una vendemmia tardiva di un piccolo vigneto di petit manseng coltivato a nord di Bellaria e il nome deriva da ‘Fraxinus Ornus’, termine latino per l’Orniello, detto anche ‘albero della manna’ per la sua linfa preziosa di biblica memoria, che allude alla dolcezza di questo vino. L’Orniello è anche l’albero a cui si deve il nome di Ornellaia.
Il vino fermenta in barrique di rovere nuove al 100% e trascorre un anno di affinamento prima della realizzazione del blend dei vari lotti. Dopo l’imbottigliamento il vino è stato sottoposto ad un ulteriore anno d’affinamento prima dell’introduzione sul mercato.
Non c’è dubbio, è un vino suadente sia al naso che in bocca, vellutato, magnetico, da farci l’amore con le sue nuances di morbida avvolgenza fruttata corroborata da sensazioni di spezie orientali e miele. Cremoso, equilibratissimo, ha un finale interminabile come i ricordi di questa splendida giornata bolgherese.
A presto!
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