di Raffaele Mosca
Il progetto è di quelli che hanno segnato la storia: una joint-venture tra due delle famiglie più importanti nel mondo del vino a livello mondiale, Mondavi e Frescobaldi. Nata nei primi anni 90’ in un territorio che in quel momento stava cominciando ad acquisire notorietà, ma diversa da qualunque altra realtà di zona per l’impostazione che guardava a Bolgheri, Bordeaux o il nuovo mondo piuttosto che alla novelle vague del Brunello.
Da quegli inizi nei primi anni 90’ ad oggi, Luce della Vite è sempre rimasto un unicum: il solo Supertuscan di successo prodotto a Montalcino, forte di un appeal inossidabile derivante anche dal packaging facilmente riconoscibile, ispirato al candelabro della chiesa di Santo Spirito a Firenze, costruita su un terreno che fu dei marchesi nel Medioevo.
Il passaggio dei possedimenti dei Mondavi alla multinazionale Constellation ha fatto si che, a partire dal 2003, il progetto diventasse al 100% della dinastia toscana e, per anni, il vino è stato una costola della tenuta di Castelgiocondo: parallelo alla cospicua produzione di Rosso e Brunello con marchio Frescobaldi, sebbene radicalmente diverso per protocollo ed impostazione stilistica. Poi, nel 2017, a ventiquattro anni dalla prima vendemmia, c’è stata la definitiva separazione di Tenuta Luce, con la costruzione di una cantina apposita, meticolosamente nascosta tra i vigneti per preservare il paesaggio. Nel frattempo, però, la produzione si era già sdoppiata: da un lato Luce e il second vin Lucente, dall’altro il Brunello di Montalcino Luce, vino moderno per impostazione agronomica più che enologica, proveniente da una parte assolata e nel contempo ventilata del quadrante sud-ovest di Montalcino, dove il suolo ricco di galestro limita le rese, permettendo alle uve di raggiungere concentrazioni importanti in maniera naturale.
La tenuta oggi consta di circa 88 ettari vitati, tutti gestiti in regime biologico. Il Sangiovese si trova nella parti più alte (circa 400 metri), mentre gli internazionali occupano le zone più basse e argillose. Oltre al Merlot, che concorre nel blend del Luce per circa il 50% (e con una quota leggermente più alta nel Lucente), sono stati piantati anche alcuni ettari di Cabernet Sauvignon, che dal 2015 danno vita a un altro vino super-premium: Lux Vitis, da blend paritario con il Sangiovese. Il lavoro in cantina è relativamente semplice: solo prima spremitura, fermentazioni in acciaio o tini troncoconici con inoculo di lieviti, macerazioni di più o meno tre settimane, circa 12 mesi di affinamento in barrique (nuove per l’80%) per Luce, mentre il Brunello sta 24 mesi in botti di rovere francese da 26,30 o 52 ettolitri.
Ad essere sincero, Luce non è sempre rientrato nelle mie corde: in una verticale alla quale avevo preso parte diversi anni fa, le prime annate erano sembrate le più convincenti, mentre quelle a cavallo tra tardi 90’ e primi 2000 mostravano una concentrazione debordante di rovere e frutto
che occhieggiava alla California piuttosto che alla Toscana. Ma già in occasione del Vinitaly 2019 avevo notato un cambiamento, che poi si è consolidato nel tempo. La ‘20 è decisamente diversa: non rinuncia alla potenza tipica dei Supertuscan, ma la traccia del legno è ben dosata e un tocco di freschezza vegetale fa pensare a una vendemmia anticipata rispetto al passato (non solo per il cambiamento climatico, ma anche per precise volontà stilistiche). Il Brunello, invece, non l’avevo mai incontrato prima d’ora e mi ha convinto per capacità di combinare lo stile aziendale – improntato sull’immediatezza – con gli “attributi” che si addicono a un Sangiovese di razza.
Due parole sull’hospitality di Castelgiocondo prima di passare ai vini: il relais di lusso condiviso dalle due tenute è un vero e proprio angolo di paradiso nel mezzo dei vigneti, con camere design che affacciano su di uno scenario mozzafiato e un’area wellness di tutto rispetto. Ha un solo difetto: non è dotato di ristorante interno. Ma a questo si può ovviare se si dispone di un budget adeguato, prenotando una visita alla Tenuta Luce e scegliendo l’opzione del pranzo o della cena con l’abbinamento ai piatti dello chef interno.
I vini di Tenuta Luce
Brunello di Montalcino 2018
Concentrato già dal colore, di media trasparenza, parte sussurrato – forse anche per la temperatura bassa di servizio – e pian piano svela mirtilli neri e liquirizia, viola mammola, pellame, qualche accenno silvestre e una parvenza leggera di tostatura da rovere. Potente, vigoroso, ma con un bel guizzo rinfrescante di arancia sanguinella che emerge a centro bocca, mostra equilibrio e immediatezza, trama tannica gentile e pulizia aromatica inappuntabile. Un tocco di tostatura fa capolino sul fondo: s’intreccia con ricordi terrestri e allunga la chiusura garbata.
Luce 2020
La sensazione di finezza aromatica è sorprendente e segna un cambio di rotta rispetto allo stile più “muscolare” del passato: chiodo di garofano, origano e pastiglia alla viola aprono le danze; in seconda battuta emerge il frutto rosso e carnoso insieme a cannella, cioccolato fondente e un soffio di pepe. La bocca segue lo stesso tracciato: l’attacco è ampio, suadente, molto fruttato, ma subito bilanciato da acidità vispa e tannini energici. Il rovere è una parvenza discreta sul fondo di una progressione compassata e allo stesso tempo dinamica, con ritorni di rosa rossa, gelso, erbe spontaee e un accenno di spezie dolci a delineare la chiosa vellutata.
Luce 2013
Cambio di registro: qui c’è molta più ciccia, anche se l’evoluzione ha ridimensionato l’apporto del legno in favore di un mix esuberante di ciliegia sotto spirito, tè nero e carcadè, tabacco mentolato e scatola di sigari. La morbidezza e la ricchezza di frutto rimandano a Saint Emilion, ma il tannino del Sangiovese fa la sua parte e stempera la massa, dando grinta al finale di ampio respiro, sostenuto da acidità intonsa.
Lux Vitis 2019
Cupo, materico, con profumo scuro e profondo di giuggiola, gelso, oliva nera e bacca di ginepro: il calore del territorio si fa sentire e, a voler proprio cercare il pelo nell’uovo, manca un po’ di componente verde-pirazinica che lo rinfrescherebbe. Sandalo e caffè arricchiscono il quadro e riecheggiano sul fondo di uno sviluppo molto equilibrato: morbido, carico di frutto avvenente – ma non sovramaturo – smorzato
da tannini tonici, acidità adeguata, qualche accento speziato a rifinire il tutto. Il finale è lungo, suadente, molto bordolese per potenza senza peso.
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