di Antonio Di Spirito
La Tenuta Fontana è una giovanissima realtà, che, però, vanta una tradizione familiare secolare nel panorama vinicolo.
Mariapina ed Antonio Fontana sono giovani, ma sostenuti dai loro genitori, Raffaele e Diana che hanno costituito già nel 2009 quest’azienda con vigneti nell’Agro Aversano, ai quali sono stati aggiunti vigneti in zona Falerno del Massico ed una tenuta a Pietrelcina, nel Sannio. Essi rappresentano la quinta generazione; il loro trisavolo acquistò, in Carinaro (CE), un podere con alberate intorno al 1810 ed il relativo atto notarile è conservato gelosamente in azienda.
L’Asprinio era, fino a qualche decennio fa, un tipico vino contadino: una bevanda a bassa gradazione alcolica, con alto tasso di acidità, utile per accompagnare il cibo; veniva prevalentemente vinificato in casa, senza molte cure; l’unica necessità, perché il vino mantenesse le sue ottime qualità, è che venisse conservato a temperature “fresche”. Era un vino, per dirla con Veronelli, “fragile, elegante ed eccezionalmente buono…”; ottimo per accompagnare pizza e mozzarella!
L’Asprinio, nonostante susciti tanta simpatia sia come vino, sia come vitigno per la sua tradizionale pratica colturale, purtroppo, non è riuscito a guadagnarsi un posto considerevole nell’olimpo dei vini italiani; anzi, si ritiene che sia a rischio di estinzione.
Eppure è un vino che identifica insieme un vitigno ed un territorio in senso circoscritto come solo pochissimi vini italiani: Barolo, Barbaresco, Brunello.
Vale la pena soffermarsi su questo interessante vitigno e fare un po’ di storia.
Per quanto riguarda l’origine (provenienza), sono molte le ipotesi; qualcuna anche affascinante, ma puntualmente smentita da altri antefatti basati su fonti documentali. Da studi genomici effettuati dalla Dott.ssa Monaco all’università Federico II di Napoli negli ultimi anni, risulta che l’Asprinio di Aversa ed il Greco di Tufo sono lo stesso vitigno e che le lievi diramazioni genetiche sono avvenute verso la fine del secolo 17°.
Il vitigno “greco” (del quale una delle varianti è il greco di Tufo) è un vitigno antichissimo e le ipotesi più accreditate lo vogliono derivante dall’Aminea Gemina (gemella); fu importato in Italia dai Greci ed il nome deriva da Amineo, località della Tessaglia (dove aveva pressoché completato il processo di domesticazione), e dal fatto che presenta grappoli di uva accoppiati proprio come gemelli.
Probabilmente fu portato in Irpinia in epoca recente (1650) da Scipione di Marzo ed era conosciuto con il nome Greco di Nola o del Vesuvio. Piantato e coltivato a Tufo, fu ribattezzato Greco di Tufo.
l’Asprinio, invece, sembra che non sia arrivato dalla Grecia né tantomeno è stato incrociato; probabilmente è nato negli attuali siti, nel secondo secolo a.C., per mutazione quando era già terminato il processo di “romanizzazione”.
Che la probabile origine fosse di provenienza Caucasica è avvalorata dal fatto che una forma colturale praticata in quel paese è molto simile a quella dell’areale dell’asprinio, con somiglianze anche nella composizione del terreno: lapilli e ceneri di origine vulcanica. Persino le ceste utilizzate per la vendemmia, le “Fiscine”, sono simili a quelle che si utilizzano nella zona caucasica, dove si chiamano “Videl”; ed hanno una forma allungata che gli permette di infilarsi nella vegetazione alberata.
L’analisi biologica dell’asprinio porta a definirlo molto simile ad un’uva selvatica: il portamento è lianoso con un gran numero di germogli e lunghi tralci.
In oltre duemilaottocento anni sono stati allevati in modo diverso e questo, probabilmente, ne fa due vini completamente differenti.
Gli Etruschi consolidarono la coltivazione della vite con il metodo della “vite maritata”, propagata poi in tutta l’Italia centrale, praticata fino agli anni ’50 del 1900, e tuttora utilizzato in alcune zone del Casertano con le famose “alberate” di Aversa: sfruttando, cioè, una pianta “viva” quale tutore; normalmente venivano utilizzati pioppi, olivo, olmo e nocciolo.
La tradizionale coltivazione ad “alberata” per l’asprinio, ebbe inizio per una serie di circostanze. Le alberate di pioppi segnavano il confine fra due proprietà
I Romani, allorquando conquistavano un territorio, lo suddividevano in piccole proprietà secondo il metodo della “centuriazione” (centinaio); staccavano, cioè, degli appezzamenti di cento passi per cento passi, con i lati ortogonali e generalmente orientati a sud-nord ed est-ovest. Venivano assegnati a nuovi coloni ed ai legionari che avevano partecipato alla conquista di quelle terre. In questo modo pagavano in “natura” i legionari, stabilendo una fidelizzazione degli stessi, e realizzavano di fatto un presidio delle zone appena conquistate.
Con la coltivazione di tali “acri”, i coloni producevano cereali ed altri prodotti sufficienti al sostentamento di una famiglia e la vite veniva piantata fra i pioppi per sfruttarli come tutori e per risparmiare terreno a vantaggio delle altre coltivazioni. Si anticipava il concetto di “seminativo vitato” continuato, poi, nel medio evo, quando si diffuse un po’ ovunque la mezzadria.
Dopo le ultime bonifiche nell’agro aversano, la terra era troppo fertile e preziosa per sprecarla per la vite. Solo ad Aversa la vite resisteva con le alberate, perché, sviluppandosi in altezza, non sottraeva molto terreno alle altre colture ed avere comunque una quantità di uve sufficiente al fabbisogno familiare e, magari, per venderne una parte. Ad ogni pioppo vengono “maritate” 4 o 5 viti, le quali con vegetazione lussureggiante raggiungono le grandi altezze dei pioppi. La coltura ad alberata, facendo crescere l’uva ad una altezza di sicurezza dal terreno, le evitava malattie fungine (peronospora, oidio, ecc.). Altro accorgimento adottato dai viticoltori e dettato solo dall’esperienza (certamente non basato su fondamenti scientifici) era quello di frapporre, a distanze regolari, viti di uva fragola, difficilmente attaccabile dalle comuni malattie: per interrompere la propagazione di infezioni e virosi varie.
In definitiva, la coltura ad “alberata aversana” producono una gran quantità di uva per pianta, produce un vino a bassa gradazione (8,5 – 10,5°), ad alto tasso di acidità (7-9 g/l), con basso valore di pH (circa 3) e caratteristici ed intensi profumi agrumati.
La coltivazione delle alberate è molto laboriosa ed è impensabile una qualsivoglia automazione.
Purtroppo solo le persone ormai anziane conoscono bene la tecnica di arrampicarsi sulle alberate con scale a pioli di oltre 10 metri di altezza e larghe appena 30 centimetri, nei due momenti topici: la potatura e la raccolta.
Tenuta Fontana ha sede in Carinaro, dove è in realizzazione una cantina che sarà pronta per il prossimo settembre.
Oltre all’alberata sopra citata, ha in produzione un vigneto di circa 2 ettari a cordone speronato di circa quattro anni ed ulteriori due ettari impiantati nel marzo 2016.
Attualmente la produzione di asprinio di Tenuta Fontana si aggira sulle 10 mila bottiglie. A pieno regime con i due nuovi vigneti in piena produzione, si potrà arrivare a circa 50 mila bottiglie.
Il vino prodotto è il Civico 44 – Asprinio di Aversa – Campania Bianco IGP.
Nell’annata 2014 si presenta con un aspetto dorato e limpido; i profumi di biancospino e fiori gialli, sono accompagnati da erbe aromatiche e resina; il sapore è pieno, ha un’acidità spiccata ed anche la sapidità è notevole; un intenso sapore di mela annurca rende il sorso molto scorrevole e facilmente abbinabile a piatti locali; il classico abbinamento resta con la mozzarella!
E l’anno prossimo inizierà l’avventura della spumantizzazione di una piccola parte di asprinio: circa 2.000 bottiglie. Mentre sono già una realtà la “Grappa Primus” e “Aceto d Cielo”, ambedue derivati dall’asprinio e distribuiti in confezioni molto eleganti. La grappa segue un affinamento di 24 mesi in barriques e si presenta morbida, aromatica ed equilibrata.
Nei vigneti in zona Falerno, vengono prodotti due vini rossi:
Civico 34 – Falerno del Massico Primitivo DOP 2012 emana intensi profumi di frutta rossa matura e frutti di bosco in fresca confettura; il sorso è materico ed è caratterizzato da un notevole tannino, ma il frutto intenso e la freschezza lo rendono avvolgente ed amabile.
Civico 32 – Falerno del Massico Rosso DOP 2012 è’ sicuramente il vino più importante fra i due: frutta rossa e note minerali manifestano immediatamente il territorio d’origine; il sorso è fruttato e tannico, ma il ritorno di freschezza e la sapidità fanno apprezzare molto la sua succosità e la speziatura in chiusura.
A Pietrelcina Tenuta Fontana ha acquisito un’antica masseria ottocentesca con una estensione di 7 ettari coltivati a vigneto, oliveto e frutteti. La masseria è in ristrutturazione ed è prevista la costruzione di una cantina scavata nella roccia.
Intanto godiamoci questo Civico 28 – Sannio Aglianico DOP 2014.
Inizialmente non ti accorgi delle caratteristiche di questo vino, ma alla distanza si apre e manifesta tutte le sue peculiarità: profumi e sapori diventano più intensi; si apprezza la rosa canina, il glicine e la viola, le ciliegie, e la buccia d’arancia, l’incenso ed il fumo.. Al palato ritrovi tutto ciò che ti ha promesso al naso: succulenza; freschezza, tannini ben fusi, sapidità e speziatura sono in un equilibrio dinamico e progressivo. Ma non ti appaga: richiede un altro sorso!
E con la vendemmia 2016 è in programma la falangina del Sannio ed un altro vino rosso a base di sciascinoso.
Tutti i vigneti e la produzione di tutti i vini sono affidati alle cure da Nicola Trabucco.
Dai un'occhiata anche a:
- Cantina Boccella Rosa a Montemarano
- Masseria Li Reni: la nuova cantina e il grande Fiano di Bruno Vespa
- Cantina Bellaria a Roccabascerana
- La vendemmia a Capri di Raffaele Pagano (Joaquin)
- Cantina Cianciulli ad Andretta: fiano e aglianico in altura
- Cantina Alabastra a Cesinali di Lucia Pintore e Angelo Valentino
- I vini di Adelina Molettieri a Montemarano
- Valpolicella: l’identità territoriale dei vini Farina si consolida attraverso sperimentazione e sostenibilità