
Al momento siamo allo scambio di lettere fra avvocati, ma non è escluso che la tensione in corso fra la quasi totalità dei mulini italiani e l’Associazione Verace Pizza possa sfociare in uno scontro aperto.
Cosa sta succedendo?
L’Associazione Verace Pizza Napoletana (Avpn) ha deciso di aprire la certificazione di idoneità anche ai mulini stranieri. La tesi sostenuta dal presidente Antonio Pace è che l’Stg non prescrive l’uso esclusivo di prodotti campani/italiani per realizzare la pizza tradizionale napoletana come da disciplinare europeo. Del resto, dice, gli stessi mulini italiani non usano solo prodotto italiano ma anche grano importato altrimenti sarebbe impossibile soddisfare la domanda interna. Vale per la pizza, come per il pane e la pasta. L’Italia consuma sostanzialmente il doppio di quello che produce. quanto a materia prima.
Secondo quanto ci risulta, l’Avpn aveva posto una data nella quale, sostanzialmente, diceva: prendere o lasciare. L’Associazione ha na dimensione mondiale e nell’era globalizzata i messaggi sono semplici e senza approfondimento. “Io devo difendere i miei associati – dice Pace – perchè negare a chi opera in argentina secondo i protocolli previsti dal nostro disciplinare deve farsi carico dei costi e dei dazi se ha un buon mulino in casa?”
L’obiezione a questa posizione è che così si diluisce l’italianità del prodotto: la nostra industria molitoria è la prima al mondo e se è vero che non si usa il prodotto italiano questo vale anche per il caffé, per la pasta, ma è proprio la trasformazione che fa diventare italiana queste materie prime. Non solo. E se dopo le farine passiamo anche all’olio e al pomodoro? E poi ai latticini? Cosa resta di italiano in una pizza certificata dall’Apvn? Solo il protocollo di lavorazione?
Da un punto di vista legale, l’Avpn è a tutti gli effetti un soggetto privato che può fare quello che vuole.
Ma è proprio su questo punto che si intende allora portare l’attacco: può un’associazione privata che non promuove più solo prodotti italiani eventualmente usufruire di fondi pubblici ed essere unico interlocutore con le istituzioni locali, regionali e italiane?
Se le cose stanno così, allora va creato un Consorzio di Tutela della Pizza Stg che sia riconosciuto dal ministero e che dunque, essa si, abbia l’autorità e non solo l’autorevolezza per certificare prodotti atti a divenire pizza napoletana e, a questo punto, anche a fare formazione.
Il braccio di ferro è in corso, vedremo come va a finire. Cosa diranno associazioni di categorie come la Coldiretti, Italmopa, Anicav, Consorzi di Mozzarella di Bufala e via discorrendo? L’ultima parola, a quanto pare, toccherà sul piano istituzionale agli assessori regionali, in particolare quello della Campania, ma soprattutto al ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare che a questo punto di sovrano avrebbe solo la manualità della pizza realizzata con olio, farine, pomodori e latticini prodotti all’estero. E la Dop Economy di cui tanto si parla come modalità di tutela dei nostri prodotti nel mercato globale?
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