Un po’ di crisi di panico c’è stata e questa estate si presenta all’insegna della incertezza internazionale che ha conseguenze sull’inflazione e sul reperimento di materie prime per molti settori. Viviamo insomma gli effetti pratici della globalizzazione e abbiamo già assistito a vere e proprie scene di panico. Molte fake news ci parlano di scorte in esaurimento, ma come stanno davvero le cose? L’aumento da 300 a 500 euro a tonnellata come incide sulle nostre tasche?
Grano tenero e grano duro, due mondi diversi
Abbiamo girato la domanda a Giuseppe Di Martino, dinamico industriale della pasta, appassionato gourmet, impegnato a New York nel suo pasta bar aperto al Chelsea Market. «La prima cosa da fare è distinguere fra grano duro e grano tenero. Il primo serve per la semola della pasta italiana, è il nostro dna mediterraneo che ci distingue. Dunque, almeno che qualcuno non racconti favole, le paste dichiarate da grano italiano non avranno alcun problema produttivo. La campagna è finita da tempo e si è prodotto ai costi di un anno fa. Certo, alcuni aumenti possono essere giustificati dall’aumento dei costi energetici e della logistica, ma anche calcolando il massimo, ossia 40 centesimi a pacco di pasta da mezzo chilo, considerato il consumo medio pro capite italiano di 24 chili, ciascuno di noi dovrebbe spendere 20 euro l’anno in più, ossia meno di due euro al mese. Vero che anche il Canada, altro paese di produzione del grano duro, ha avuto problemi di siccità, ma la stagione promette bene, sia da noi che in quel paese e la materia prima non dovrebbe scarseggiare”.
Insomma, la pasta non mancherà e gli aumenti, per quanto impressionanti in termini percentuali, sono oggettivamente sopportabili anche in considerazione del fatto che i prezzi della pasta sono fermi da quasi 20 anni.
Ma se sul grano duro possiamo stare tranquilli, cosa succede con quello tenero? Risponde Antimo Caputo: «Per dare una idea del problema nelle sue dimensioni globali cominciamo con il dire che il grano duro, eccellenza soprattutto italiana, rappresenta solo il 4, 5% della produzione totale, il resto è grano tenero. Noi siamo costretti ad importare circa il 60% di grano tenero e questo, visti i nostri consumi, è un dato destinato a durare perché stutturale, ossia noi siamo un paese piccolo senza gli spazi necessari per coltivare tutto il grano tenero che ci serve. Possiamo ridurre la percentuale, ma non saremo mai autosufficienti per il grano tenero come possiamo esserlo per quello duro. Però dobbiamo anche sapere che dall’Ucraina noi importiamo appena il 3, 4% del nostro fabbisogno nazionale. Il nostro fornitore principale resta l’Europa stessa che è anche primo produttore al mondo di grano tenero. Per dare una dimensione, noi europei produciamo 130 milioni di tonnellate, la Russia, secondo produttore, appena 30» Dunque stessa considerazione finale: «Non c’è alcun motivo per fare acquisti isterici che arricchiscono gli speculatori».
Il tema vero è però sbloccare i circa 90mila ettari di grano a riposo per volontà della Ue: la lezione di Pandemia e Guerra è che il Vecchio Continente deve tornare ad essere autosufficiente sui fondamentali.
La foto è tratta da un interessante articolo che, pur non prevedendo la guerra in Ucraina, spiega bene cosa stava succedendo fra Usa e Russia.
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