Sara Marte
A Tel Aviv ti diverti, a Gerusalemme preghi e a Haifa lavori. Sarà pure una frase popolare ma quando è vero, è vero. Sono ormai a Tel Aviv da un po’ e le contrapposizioni d’impatto e l’allure moderna si proiettano in un caleidoscopio d’emozioni che fanno a pugni tra di loro: grandi alberghi alternati a costruzioni fatiscenti, cantieri che rinfrescano nuove aree e palazzi in stile Bauhaus.
E’ una città travolgente, insonne e allegra. Il lungomare, che sia marina o promenade, è il benvenuto più morbido, accogliente e chiarificatore per spazzar via i preconcetti: Locali alla moda servono piatti fusion di quella cucina che qui chiamano semplicemente mediterranea e che ha un’eleganza inaspettata, molto sport, sole tutto l’anno e un costante vociare in inglese con i più disparati e spesso improbabili accenti.
Sono puntuali e tecnologici ed abituati ad accogliere ospiti da ogni parte del mondo che per lavoro passano di qui o coloro i quali ritornano in patria facendo l’alià. Ironiche le considerazioni di MR Haim, un collega del vino, che al racconto delle mie origini ebraiche mi guarda e fa “ Ma non sei ebrea, vero? No perché non abbiamo proprio bisogno di un altro che torna e che reclama qualcosa!”. Solo loro, così come il mio “Liberal-Mr Haim”, sanno essere così pungenti con se stessi e anche così diretti con gli altri. Tutto chiaro!
Tel Aviv in ebraico significa “collina della primavera” e fa probabilmente riferimento al Libro di Ezechiele in cui si profetizza questo luogo dove troveranno casa coloro i quali rientrano dall’esilio. Meno poeticamente il Fondo Nazionale Ebraico nel 1909 acquista un terreno nel cuore del nulla, giacché erano solo dune che lambivano l’antica città di Giaffa, storico porto commerciale arabo. Vi s’insediarono dunque sessanta famiglie e tra di loro Meir Diziengoff, primo sindaco della città, per dar vita a Tel Aviv.
Da subito l’idea fu quella di un approccio funzionalista e abitazioni concepite come “city garden”.Oltre 4000 le strutture di architettura Bauhaus per cui è patrimonio dell’UNESCO dal 2003.
Viali alberati, case dalle linee pulite e ,appunto, funzionali ed ogni tanto, per sbaglio, percepisci il Medio Oriente. Parallele al mare, tagliano la città, le vie dello shopping, curate e schematiche e , abbondanti, qui e lì si stagliano i grattacieli.
Vi abituerete alle differenze che nei primi giorni saltano all’occhio come i tanti tanti giovani in uniforme che fanno il servizio militare obbligatorio (tre anni per gli uomini e due per le donne) e altri con il fucile a tracollo che magari passeggiano in città. Saranno normali i controlli prima di entrare in mercati e negozi. Al supermercato un omaccione della vigilanza ti chiede di aprire la borsa in cui sbircerà; una rapida passata di metal detector e via. Così avviene anche nella routine dei centri commerciali, dove, se entri con l’auto, devi aprire il portabagagli ed il guardiano svolgerà un’ispezione,spesso, semplicemente un’occhiata. Se hai parlato con qualcuno qui, sarai colpito dal fascino di menti pronte e guizzanti e capisci anche che non vieni a dispensare opinioni.
Quando riuscirete a vivere Tel Aviv senza doverla per forza incasellare in schemi noti allora vi divertirete come matti e accoglierete gli stimoli esterni come una boccata d’aria fresca. Gettatevi senza timori nel cuore di questa città bohemièn e vitale. Appariranno ogni singola sera marciapiedi affollati di varia umanità multigenerazionale che attende di tuffarsi in locali colmi; ogni giorno dalle 7 di mattina caffè e bistrot traboccheranno di avventori per un rito non-stop che rende, per me, ancora misterioso l’orario del pranzo. Lo stile di guida e il traffico sono molto familiari essendo Napoletana Vesuviana, ma (c’è sempre un ma) improvvisamente assisti a un fuggi fuggi generale che lascia noi novellini d’Israele straniti. E’ venerdì pomeriggio e sta per arrivare il tramonto: Sarà Shabbat! La giusta immagine per me è quella di “Domenica d’Agosto” di Luciano Emmer in quel suo quadro dell’Italia degli anni 50 in una calda estate. Ecco, avrete come la sensazione di essere quel Marcello Mastroianni che “dirige il traffico” attraverso le strade deserte del vostro stupore. Tel Aviv è molto liberale quindi qualcosina aperta si trova sempre e ci si può riversare in spiaggia in qualsiasi momento ma occhio! Perché in giro è tutto chiuso. L’avrete certamente capito che bisogna poi prendere la mano ad una settimana lavorativa che comincia di domenica e termina il giovedì.
Lo Shabbat è comunque considerata una delle festività più importanti della vita ebraica. E’ il giorno in cui si sospendono le attività ed è sacro, speciale e va onorato. Ritualmente comincia con l’accensione delle candele da parte della madre di famiglia prima del tramonto. Il padre prima di iniziare il pasto reciterà il Kiddùsh (santificazione). Al termine dello Shabbat c’è la cerimonia dell’Havdalah. Questa segna la fine dello Shabbat e divide ciò che è sacro dalla vita ordinaria. Nella tramandazione ebraica troviamo trentanove attività proibite: arare, seminare, mietere, formare covoni, trebbiare, togliere la pula, selezionare, setacciare, macinare, impastare, cuocere, tosare la lana, lavarla, cardarla, tingerla, filarla, ordire,dare due punti, tessere due fili,scucire due fili, fare un nodo, disfare un nodo,cucire due punti,strappare con l’intenzione di ricucire due punti, cacciare il cervo, sgozzarlo,pelarlo, salarlo,lavorare la sua pelle,spellarlo, tagliarlo, scrivere lettere, cancellare con l’intenzione di scrivere, costruire, demolire, spegnere, accendere,forgiare con un martello,portare da un posto all’altro.
Appare ovvio che queste non vanno intese esclusivamente in maniera stretta, ma considerate anche in senso più ampio come categorie di attività e fanno riferimento a ciò che in passato era fonte di lavoro. Fermarsi dunque da ciò che è lavoro per poter godere del vero significato dell’esistenza e “ prendere il tempo di contemplare la bellezza del creato,di riunirsi in famiglia, tra amici ed in seno alla comunità”. Le riunioni di famiglia sono così sentite e gioiose che ti lasciano un po’ di nostalgia al pensiero di essere lontano dagli affetti. Per gli Ebrei questo è il giorno che unisce ancor più fortemente tutti i figli di Israele, ovunque essi siano nel mondo e dove bisogna accogliere nella propria casa e nella propria mente l’Oneg Shabbat, cioè il benessere dello Shabbat. Queste sono chiaramente solo grandi linee di ciò che personalmente trovo intenso, profondo ed affascinante.
C’è poi un lato curioso: in alcuni hotel troverete un ascensore dedicato a coloro i quali onorano lo Shabbat: poiché non possono premere il bottone del piano, l’elevatore sale e scende facendo tutte le fermate. Ah! Beati voi che ora lo sapete invece di passare per mentecatti impiegando quindici minuti per arrivare nella lobby come me!
Continuerà il mio racconto della vita a Tel Aviv e delle esperienze del vino per cui sono qui, ma intanto vi lascio con una frase che ho trovato molto divertente di uno scrittore Inglese, Alan Bennett.Un suo disincantato personaggio, protestante, non vorrebbe per il figlio né una moglie ebrea né una cattolica e sentenzia così:” In fondo gli ebrei e i cattolici sono fatti della stessa pasta: gli ebrei sguazzano tra le feste comandate, i cattolici tra i figli”.
Le informazioni sullo Shabbat provengono dalla vita qui a Tel Aviv,dal personale interesse, da www.e-brei.net , dai siti della comunità ebraica di Roma e Bologna, dalla cortese occhiata di A.Y. amico, credente e praticante.
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