Un Taurasi è per sempre. Per qualche anno Emilio Di Placido si è dedicato alla produzione di vino adottando la tecnica tradizionale del legno grande. Avemmo anche l’occasione di fare una verticale in loco con le prime bottiglie. In quel periodo Emilio produsse per due anni anche una dozzina di bottiglie da cinque litri per regalarne e due, una 1999 e una 2000 confezionate tra 2006 e 2007 toccarono, bonta’ sua, a me. Ben conservate e ben stappate entrambe.
La prima abbastanza presto, appena cinque anni dopo: fu con la 1999 che ci presentammo in un Ferragosto a Potenza nel 2015 dall’indimenticato Frank Rizzuti trascorso insieme a tanti amici. Era un momento di euforia con Vitantonio Lombardo nella vicina Caggiano a Locanda Severino e Angelo Sabatelli a Monopoli territori da sempre dimenticati furono accesi dalla Michelin, Frank fu la prima stella lucana, una grande soddisfazione prima che la malattia lo stroncasse rapidamente e inesorabilmente.
La seconda bottiglia, il 2000, ha riposato per altri dieci anni nella mia cantina nel migliore dei modi possibili: dentro la cassetta di legno al riparo dalla luce, con la giusta umidità e senza soffrire eccessi di caldo. Non avevo dubbi quando ho deciso che era il momento di aprirla, l’occasione una riunione di qualche amico a Montechiaro di Peppe Guida nel quale abbiamo portato questo vino oltre un paio di magnum di Champagne presentate da Albert Sapere e Adele Granieri. Vino ma non solo: un paio di conigli e un capretto da affidare a Peppe Guida and sisters, tre grandissime cuoche. E una monumentale minestra maritata della signora Lontananza con cinque brodi e un numero imprecisato di erbe e verdure, suocera di Maurizio Cortese e madre di Cristina che si è presentato con un grande casatiello. Per dolce zeppole fritte nel miele, precedute dal pre dessert di pasta e patate.
Insomma, una scampagnata all’aperto, il piacere di vivere al Sud, con la Terra delle Sirene sotto i piedi.
Non c’era dubbio che siamo stati in presenza delle condizioni ottimali per stappare il Taurasi. Qualche difficoltà con il tappo, per metà inzuppato, poi la decisione di decantarlo in tre brocche da mettere sul lungo tavolo, alla maniera contadina.
Sono momenti ormai rari, non commerciali e neanche di promozione: il puro piacere di stare insieme con un cibo degno di un re. Il Taurasi 2000, annata calda, ricordiamolo, sostanzialmente difficile per i vini strutturati, si è immediatamente acclimatato. Nessun segno di ossidazione, appena uno sbuffo di ridotto all’inizio, un po’ di residui sul fondo ci sono. Ma sostanzialmente, al contatto con l’aria dopo 22 anni, il vino si presenta con un buon colore granata vivo e soprattutto con tannini ficcanti e splendida vitalità. Frutto e legno assolutamente in equilibrio.
Fa effetto berlo dopo tanti anni, e l’auspicio del retro etichetta, ritrovare nel sorso le ragioni e i pensieri di chi ha prodotto questa magnifica bottiglia, si sono naturalmente avverati in una compagnia messa insieme dalla voglia di stare assieme e dal piacere del buon cibo di una volta, quella tradizione che attraversava inverni freddi e calore familiare. Il vino aiuta il cibo, il cibo chiama il vino, le chiacchiere, le risate, la voglia di vivere comunque in un momento difficile e mai vissuto prima.
Una grande bevuta, perché un Taurasi è per sempre. Anche se l’azienda che lo ha prodotto ha chiuso i battenti.
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