Uno degli elementi che hanno frenato la crescita del Taurasi è il fatto che i Feudi non ci hanno mai creduto fino in fondo come per i bianchi per almeno 15 anni. Ogni tipologia ha bisogno infatti di piccoli artigiani, ma se le grandi aziende non fanno opera di sfondamento è difficile che si possa creare l’attesa.
Così, tirando le somme, a oltre 20 anni dalla docg abbiamo ancora solo Mastroberardino che è in grado di vendere, a buon prezzo, vecchie annate, e poi tante bottiglie conservate dagli appassionati o dagli operatori qui e là, ma nessuna azienda capace di organizzare verticali così profonde che invece è la principale forza di questo rosso che prende vantaggio con il tempo.
Il percorso di questo Aglianico, insomma, è tutto ancora da costruire, a differenza del Fiano e del Greco e della stessa Falanghina.
Rileggendo velocemente la storia, i Feudi hanno sin da subito puntato sui bianchi, e con efficacia, mentre sui rossi la gestione Ercolino ha sempre privilegiato scelte che puntavano più alla morbidezza e alla immediatezza: ricordiamo il Serpico, blend di Aglianico e Piedirosso, e il Patrimo da uve merlot che è stato spinto con tutte le energie aziendali di cui all’epoca si disponeva sino a farlo dichiarare rosso dell’anno dal Gambero.
Inoltre dobbiamo anche aggiungere che la mano sul Taurasi dei Feudi è cambiata almeno quattro volte in 15 anni e questo per un rosso che costruisce la propria reputazione su un percorso che non può essere inferiore all’arco di un decennio è un altro problema.
Le ultime due annate in commercio, parliamo del Taurasi 2010 e Taurasi 2009, hanno iniziato a disegnare un stile più coerente in cui legno e frutto si riequilibrano e finalmente il vino abbandona l’ossessione della morbidezza e della dolcezza.
Siamo capitati a Marennà da Paolo Barrale dopo la serata da Di Meo con un ospite di eccezione.
Angelo Nudo, padrone di sala, conoscendo la mia passione necrofila ha subito proposto di aprire qualche vecchia bottiglia di Taurasi e, insieme ad Annibale Discepolo e Maurizio Cortese, abbiamo assentito volentieri.
Discuterne con Alfonso Iaccarino, ricordiamo che lui e Livia sono stati tra i primi sommelier della Campania, è stato molto appagante.
Taurasi Selva dei Luoti 1999
E’ stato il vino della serata: con il passare degli anni ogni bottiglia inizia ad avere una storia biologica a se stante, proprio come gli uomini, ma non c’è dubbio che questo millesimo è uno dei più interessanti dal Dopoguerra ad oggi, sia per il Taurasi che per il Fiano di Avellino. Ancora giovane e pieno di energia, fresco, sapido, pieno in bocca con il frutto integro, il legno molto ben integrato. Un vino che si beve sino a terminare la bottiglia come poi è avvenuto e non poteva essere diversamente. Lo si era provato nel 2009 in una verticale Taurasi 1999 di 18 aziende e già allora mi era piaciuto di più del Piano di Montevergine. E, sempre nel 2009, in una verticale Feudi a Fabbrica dei Sapori.
Voto 89/100
Taurasi Selve dei Luoti 1997
Questo rosso ha il grande svantaggio di arrivare dopo la 1999. Al naso appare un po’ più chiuso, ma in bocca è compatto, dotato di una buona freschezza con un deciso allungo nel finale che lo rende molto bevibile. In questo c’è la mano dall’inizio alla fine di Luigi Moio che all’epoca era alla sua terza vendemmia di aglianico di Irpinia e il vino si presenta con tutti i fondamentali al posto giusto. Direi anzi che è uno dei 1997 più significativi degustati negli ultimi anni.
Voto 88/100
Piano di Montevergine 1996
La selezione dei Feudi è sempre stata un po’ la promessa mancata del Taurasi irpino. Anche in questi caso non si è mai spinto troppo questa etichetta che ha un andamento discontinuo a seconda delle annate. Sempre probematica la 1998, decisamente sorprendente e spesso appagante proprio la 1996 a dispetto di un millesimo sempre molto avrao di soddisfazione. Come i primi tre, il vino è in perfette condizioni, senza segni di cedimento, buona acidità e ancora un discreto frutto anche se messo in secondo piano proprio dalla freschezza ancora esuberante e sin troppo padrona del palato.
Voto 88/100
Taurasi 1993
I sommelier di sala decidono di non servircelo, il naso è decisamente scomposto, fastidioso. Per fortuna gioca l’età di noi tutti che ci fa insistere e il palato ci riporta alla buona annata, ricco, ancora ciliegioso, scattante e di gran pregio. Un vino da coccolare e da aspettare con l’olfatto che migliora ma senza volgere al bello. Comunque al palato e al colore perfettamente integro e abbinabile al pollastro del buon Barrale.
Voto 85/100
Questa bella esperienza ci induce a sollecitare una grande azienda come i Feudi a lavorare con la nuova determinazione che la distingue con il nuovo corso Capaldo-Sirch per sostenere il Taurasi attraverso la crezione di cru sul modello Studi e nella verticalizzazione delle riserve per arrivare finalmente in profondità. L’Aglianico irpino ha bisogno di almeno dieci anni prima di esprimersi e solo cantine con le spalle larghe possono realizzare questo ciclopico lavoro di rivalutazione.
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