di Marco Galetti
Una piccola grande realtà irpina, targata Romano Clelia, distribuisce sorprese anche se Pasqua deve ancora arrivare.
Per rimanere in tema, volendo cercare il pelo nell’uovo, questo decenne aglianico in purezza, di moderatissima trasparenza al limite dell’impenetrabile, di un rosso più cupo che rubino (qualcosa di angelico c’è e questa è una battuta con un fondo di verità) sul fondo dell’ultimo calice ha lasciato un naturale deposito, indicatore del fatto che purificazioni di natura chimica in cantina non c’è ne sono state e che, fesso io, avrei dovuto utilizzare un decanter e/o maneggiare questo grande rosso con un po’ più di attenzione al suo risveglio dopo dieci anni di letargo, per poterlo godere fino all’ultima goccia con una scheggia, facciamo due, di cacioricotta di capra cilentana.
Il nostro pranzo della Domenica avrebbe potuto essere tranquillamente questo: tagliolini al ragù, con fegatini di rinforzo e coniglio arrosto con patate.
Lei amava le mammole e le amarene, lui non voleva privarsi della sua vecchia borsa di cuoio… il vino, un buon vino, serve a questo, a farci capire che nulla è per caso, ad alimentare corpo e mente, a fare sangue, come si diceva, a ricordarci che buon sangue non mente e che con la mente, almeno per un po’, posso ritrovare, attraverso un calice di quelli giusti adeguato a questo “lunghissimo” sorso campano, il mio sangue e le mie origini.
Il coniglio arrosto con patate, come accompagnamento musicale note di mammole, di visciole e di cuoio
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