Uva: aglianico
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Si scioglie o non si scioglie l’iceberg 2000? Difficile, perché la monumentale vendemmia calda di quell’anno si coniuga con pratiche tese alla surmaturazione in campagna e alla concentrazione in cantina, si inseguiva il modello oak Napa e pure il Supertuscans e tutto questo ha creato bei mattoncini rossi senza curve e senza dinamicità, che non sia la spinta di un buon Greco per tirarli avanti, giù fino in gola.
In attesa della verifica di ottobre come è stato fatto con il ’99, abbiamo tirato fuori un Taurasi di questa era quaternaria e ne abbiamo tratto motivi di soddisfazione. Intendiamoci bene: parlo relativamente ai campioni di questo millesimo e non in assoluto.
Ma possiamo in primo luogo ribadire il nostro consiglio: come per il Greco dovete aspettare un paio d’anni e per il Fiano almeno cinque, il Taurasi necessita di un decennio prima di gettare la maschera e rivelarsi, riflettendo esattamente al millimetro il carattere delle genti che lo producono, quasi quasi proporrei la nuova regola che i vini vanno abbinati alla persone del posto più che al cibo. Sicché Nebbiolo e Aglianico parlano contadino, Amarone e Chianti svelano la vocazione commerciale di Veneto e Toscana, i rossi etnei la vocazione alla trascendenza dei siciliani, Supertuscan e Brunello…fate voi.
Dunque a distanza di dieci anni il rosso rubino non si è smosso più di tanto, il colore non ha proprio la trasparenza che piace a noi ma comunque non è esageratamente concentrato e facendo ruotare il vino nel bicchiere si riesce a intravedere il fondo. Al naso il primo impatto, molto forte, è di amarena matura lasciata nella cesta dopo la raccolta, un dolce sicuramente piacevole e non stopposo che ritroviamo in bocca: dopo un paio d’ore l’olfatto evolve più precisamente verso il terziario con una decisa sensazione di cuoio. A corredo un po’ di balsamico, leggere note di tabacco essiccato al sole. Non è un naso corale, ma le sensazioni procedono in slide, una dietro l’altra, in modo preciso, didattico.
In bocca la notizia è che i tannini finalmente sono stati domati. Il vino infatti è morbido, l’ingresso piacevolmente tranquillo, come quando si fa accomodare un amico a casa, c’è corrispondenza ormai tra gusto e olfatto, la beva, ben sostenuta dall’acidità ben ammagliata e non scissa dal resto del vino, procede bene, il corpo è giusto, non eccessivo, l’alcol forse spara un po’, siamo sui 14 gradi dichiarati, quindi sicuramente un po’ più su. Tanto per un vino nato in zone fredde, in linea con la maturazione zuccherina provocata dalla annata calda.
Direi dunque un vino a metà strada tra il concetto diffuso tradizionale e il moderno, quasi una sorta di mediazione. Sicuramente non autoreferente e food friendly. Da stappare.
La viticoltura qui è di terza generazione, dal 1995 Pasqualino ha iniziato ad imbottigliare in proprio seguito da Carmine Valentino. Tutti i suoi vini sono gentili e non eccessivi, toccando con i bianchi punte di eleganza estrema. I suoi rossi vanno attesi con pazienza. Ma chi ci corre dietro?
Sede a Fontanarosa, Contrada Rotole,27. Tel e fax 0825.475738. www.cantinadiprisco.it. Enologo: Carmine Valentino. Ettari: 10 di proprietà. Bottiglie podotte: 120.000. Vitigni: fiano, greco, coda di volpe, aglianico.
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