del Guardiano del Faro
Non tanto per recensire quanto per informare, perchè da questa parte della Riviera di Fiori, spesso giustamente ribattezzata Riviera dei FUORI per l’originalità della fauna che la popola, non è normale vedere una soluzione di ristorazione nuova di concetto e associata ad una qualità confortante e per di più proposta a prezzi saggiamente cauti.
Taggia, per scriverne vorrei possedere la prosa e la conoscenza di Fulvio Cervini, storico dell’arte medievale e insegnante all’ Università degli Studi di Firenze , originario del luogo , professore nel senso positivo del termine, non uno che te lo mena, uno che ti saprebbe spiegare ogni dettaglio affascinandoti e mai annoiandoti.
Ma oggi ha da fare, e quindi tocca a me.
Si tratta di lasciare la strada principale che percorre la Valle Argentina e risalire brevemente all’interno del borgo storico che gode di notorietà internazionale per aver associato il proprio nome all’oliva cultivar Taggiasca , Borgo in evidente rilancio grazie a ristrutturazioni che finalmente ridanno luce ai vecchi palazzi ricchi di fregi e di blasoni storici che ricordano i fasti delle famiglie che ci vivevano nell’800 , ma che in seguito al disastroso terremoto di oltre un secolo fa , con difficoltà ha rimarginato le ferite urbanistiche.
Proprio in uno di questi palazzi pesantemente danneggiati a quell’epoca si è pensato di ristrutturare ed adeguare con disinvolta modernità gli spazi e destinarli ad una formula di ristorazione agile , giovane e qualitativamente distinta dalle mille operazioni balneari fotocopia una dell’altra, inutilmente sovrapposte in una monotonia sonnacchiosa.
L’approccio è degno dei più moderni locali polivalenti che ti aspetteresti di trovare a Barcellona, perché già prima di entrare ci si potrebbe accomodare all’aperto e ordinare un qualche cockatil classico o creativo ( tutti a 5 euro ) , oppure entrare e piazzarsi alla barra del bar, sui trespoli, o ai tavolini bistrot e ordinare un piatto semplice da accompagnare ad un bicchiere di vino, ma forse meglio un kir royal per far partire al meglio la serata tra note musicali di tendenza.
Per completare la serata si scende verso il basso su una scalinata in legno, immaginando forse di finire in un buio scantinato, invece no, perché la sala ristorante, ristrutturata con design minimalista vetro-legno-acciaio , si declina in versione sotto vetro o in fresco dehors estivo.
Certo, la vista condominiale dell’Italia dei geometri non è indimenticabile, ma non è il caso di avvilirsi, perché la gentilezza dei ragazzi in sala , la bellezza della presentazione dei piatti, la freschezza di pensiero agganciato alla tradizione dei medesimi, e la coerente scelta vinicola non faranno rimpiangere i locali più blasonati della zona.
Da due dei quali è maturata l’esperienza dello chef, che ha sostato alcuni anni negli stellati della provincia che fanno di nome Paolo & Barbara e La Conchiglia . Qualche anno per Davide Zunino anche in Spagna per apprendere tecniche e aprire la mente prima di ritornare a casa e ritrovare Ivan Lombardi , con cui condividere ed esprimere una “moderna tradizione” così come definito nella presentazione del loro sito internet.
La mano è buona e le idee divertenti non mancano già dall’aperitivo che potrebbe essere ricomposto soggettivamente al tavolo spremendo un tubetto da dentifricio contenente crema all’olio taggiasco su crostini profumati di aglio e da rinvigorire ulteriormente con una passata di pomodori secchi concassè.
La carta indica prezzi leggeri, compresi tra i 12 e i 18 euro, evitando volutamente ingredienti dai costi troppo impegnativi.
Il confort è però sofferente per via delle sedie prescelte, aromoniose con il decoro, ma eccessivamente pesanti e scomode, un vero peccato innamorarsi degli architetti che pensano più alla forma che alla comodità e alla praticità.
Ma oggi pensiamo a quello che arriva dalla cucina, la prossima volta chiederemo un cuscino per non spezzarci le vertebre.
Ridimensionato e riportato alla portata di tutti anche il colorato e semplificato cappon magro, che soffre un po’ solo dalla parte della salsa verde, non abbastanza coraggiosa sul lato acetico, ma vive di freschezza vegetale e dalla discreta presenza della polpa del nasello bollito e raffreddato.
Morbido e grintoso il baccalà appena gratinato da una pomata con profumi mediterranei ben agliati e poi mitigati da una dolce composta di pomodoro candito.
Riuscito al 100% il raviolo di fine pasta croccante farcita di potente baccalà e contrastato dalla passata di pomodori cuori di bue al profumo di basilico. Un frutto e un erba che siamo abituati a mangiare e usare in ogni momento dell’anno ormai, ma quando li ritroviamo in piena estate capiamo immediatamente che si tratta di un errore consumarli in periodi diversi.
Mi viene in mente un aneddoto su Paul Bocuse che in un intervista sottolineava quanto fosse indispensabile per la sua cucina utilizzare solo prodotti vegetali di stagione.
“Io il pomodoro lo uso solo in Agosto ! “ Sentenziò il grande Paul.
Verificai su una guida perché qualcosa non mi tornava.
La Guida diceva infatti che il suo ristorante in agosto era chiuso, quindi probabilmente lo usava solo in agosto ma a casa sua.
Ma pensiamo al vino, e al caro amico Lucien, il sommelier biodinamico per eccellenza, dall’alto del Monte Bianco, che mi invita a riprovare questo biodinamico ligure che continua ad esserlo certamente nelle intenzioni e nella pratica, però se non la smettono di ammazzarlo di legno non serve a niente il lavoro fatto a priori.
La “cima del giorno dopo” rimane un pochino tenace lateralmente al medaglione, ma grazie alla deliziosa farcitura e la golosa panatura mantiene una piacevolezza complessiva discreta. Addirittura meglio gli accompagnamenti vegetali dell’elemento principale, dove il cipollotto brasato unisce dolcezza e acidità ulteriormente accentuata dalla spuma di patate con capperi all’aceto e scorzette di limone.
Pre dessert mirato tutto sulla freschezza acida del limone e dello yogurt.
Semplice e funzionale.
Piatto fuori gamma, ma veramente di categoria superiore il canestrello di Taggia sbriciolato su crema all’anice, gelatina al miele e sorbetto di limone. Da leggere diceva poco, ma da vedere e da mangiare era veramente ottimo.
Allargate la foto, è proprio bello questo !
Lo chef Davide Zunino è di poche parole, ma i fatti sono evidenti, la mano c’è, le idee anche, la struttura pure, e allora si può fare .
Gli altri dessert a questo punto invitano al ritorno:
Torta di Badalucco con salsa di caffè e cremoso al cioccolato bianco e zafferano, oppure, biscotto al finocchio su crema inglese e gelato all’olio extravergine di oliva…
Possiamo fare a meno delle immancabili insalate di polpo e patate e dello spaghettone alle vongole ?
Si, ne possiamo fare a meno, come possiamo fare a meno di appiccicare etichette e voti a questo giovane gruppo di lavoro che è partito da pochi mesi ma già con la marcia giusta, rivolgendosi al territorio senza fossilizzarsi all’interno di schemi fissi e ridiscutendo in cucina concezioni dogmatiche che paiono inamovibili altrove.
Foto scattate il 25 Luglio 2010 .
Il testo scritto qualche giorno dopo.
gdf
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