di Raffaele Mosca
La (ri)scoperta della leggerezza nei Supertuscans passa per il Cabernet Franc. Non che gli altri due vitigni internazionali di punta, ovvero Cabernet Sauvignon e Merlot, non riescano ad esprimere delicatezza ed equilibrio quando gli si fa fare la giusta “cura dimagrante”, ma il Franc è tendenzialmente superiore per freschezza, finezza tannica e delicatezza del frutto. Va da sé che è anche più versatile nell’ abbinamento con l’alta cucina, che si fa sempre più leggera. La prova del nove l’abbiamo fatta al Pagliaccio di Roma con il lineup di Villa Saletta, azienda di proprietà inglese nella terra di mezzo tra la costa etrusca e l’entroterra pisano.
La cucina di Anthony Genovese gioca su accostamenti complessi tra ingredienti appartenenti a culture diverse, tendenze acide e umami e persistenze profonde.
Chiede vini di spessore, ma non massicci o sovraestratti. E, in questo caso, è l’annata 2018 di 980 AD, l’etichetta di punta dell’azienda da uve Cabernet Franc, ad avere i giusti requisiti. Tutta la gamma gioca su di uno stile chiaramente internazionale, con una ricerca comprensibile della morbidezza e dell’espressività già all’esordio; ma qui c’è anche freschezza, dinamismo, quel tocco vegetale classico del vitigno che si accoda ad un frutto pieno e allo stesso tempo integro e aggraziato. Arriva dopo una sequenza di tre vini abbinati ad altrettante portate e sposa agnello, fagioli rossi e caffè: un piatto in cui il legume accompagnato da una spuma fa quasi passare la carne in secondo piano. Più in generale, il 980 AD ci è parso l’unico vino che sarebbe stato ugualmente capace di assecondare tutte le portate, a partire dalla cacio e pepe che guarda all’oriente, cotta in un dashi vegetale all’alga kombu, per arrivare a un esplosivo tortello ripieno di guanciale, pomodorino del piennolo e caciocavallo, con la sola eccezione dell’ ostrica (lí il Metodo Classico è d’obbligo).
Questa è la prima annata di 980 AD – che, per inciso, ha un nome legato al primo documento storico che cita Villa Saletta – ad uscire anche in formato classico: fino alla 2016 se ne facevano solo un migliaio di magnum all’anno. “ È frutto di una parcella che ha un carattere diverso dalle altre. Dà sempre uva eccezionale, anche se non scegliamo di vinificarla separatamente ogni anno” spiega David Landini, enologo approdato in azienda dopo esperienze in giganti regionali come Antinori e Frescobaldi.
Il Cabernet Franc è maggioritario anche in Giulia, blend con doppia dedica alla moglie dell’attuale proprietario e ad una delle figure femminili chiave dei Riccardi, famiglia di banchieri legata ai Medici che ha posseduto Villa Saletta per secoli. Un vino più scuro, più cioccolatoso al naso e più robusto al palato per via della quota complementare di Cabernet Sauvignon, ma sempre dotato di compostezza e finezza tannica non scontate. È preceduto in gamma dal Chiave di Saletta, second vin con una quota di Sangiovese a dare un po’ di slancio in più, e da un Chianti Superiore di buona fattura. Comincia ad avvicinarsi di più alle stesse corde anche il Riccardi, Sangiovese in purezza. La 2020 è più precisa e meno conciata dai legni rispetto alle annate precedenti; “brunelleggia un po’” con il timbro scuro e un tannino ruggente, ma ben inglobato nel frutto. Per Landini, però, il meglio deve ancora venire: “ La 2021 è l’annata migliore da quando sono entrato in azienda nel 2015, soprattutto per il Sangiovese”. E allora attendiamo la prossima uscita per esprimere un giudizio più completo.
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