MAGISTRAVINI – TENUTE EMERA
Uve: negroamaro, primitivo, merlot, shiraz e cabernet sauvignon
Fascia di prezzo: 15 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
VISTA: 5/5 – NASO 25/30 – PALATO 25/30 – NON OMOLOGAZIONE 31/35
Ne ho parlato tante e tante volte, ma è sempre bene ribadirlo: la Puglia enoica è una terra fortunata a poter mettere in campo 3-4 vitigni autoctoni a bacca rossa di così innegabile qualità, tanto da non temere assolutamente confronti con altre regioni. In più insistono sul territorio da molti anni varietà stanziali come il Montepulciano, l’Aglianico e la Malvasia nera, che hanno attecchito così bene e danno vini di qualità. E allora perché, con tutto questo ben di Dio a disposizione, utilizzare vitigni alloctoni di provenienza francese per confezionare vini che poco hanno da spartire con la storia e la cultura di questo areale? Perché il progresso, la sperimentazione, la convenienza, il marketing, l’opportunutà e/o l’export lo impongono, specialmente poi se i frutti sono così copiosi.
Si racconta che Angelo Gaja impiantò barbatelle di Cabernet Sauvignon e Chardonnay nella sua azienda all’insaputa del padre in una terra, il Piemonte, in cui non mancano sicuramente vitigni tradizionali di eccelsa qualità. E anche il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, vero antesignano e inventore dei cosiddetti “Supertuscans”, decise di far uso di varietà “bordolesi” come i due Cabernet, Sauvignon e Franc, per produrre il Bolgheri Sassicaia nella Tenuta San Guido alle porte di Livorno. E tutti sappiamo il successo che ha riscosso questo vino nel mondo, aprendo poi la strada a molteplici epigoni sul territorio.
E allora non c’è tanto da stupirsi se anche l’azienda vinicola Tenute Eméra del vulcanico patròn Claudio Quarta vuole tentare altre vie, con la fattiva e determinante collaborazione dell’esperto e bravo enologo Vincenzo Mercurio. E l’occasione si è manifestata con la produzione di un vino, il Sud del Sud 2011 (cioè il Salento rispetto a tutto il Meridione), messo in commercio appena pochi giorni orsono. Le varietà impiegate per questo blend sono i due classici vitigni locali del Negroamaro e Primitivo in massima parte, in “accordo” con gli internazionali Merlot, Shiraz e Cabernet Sauvignon.
Scortato dalle leggiadre e affascinanti Alessandra Quarta (la figlia del proprietario) e Claudia Ancora, ho fatto visita alla nuova e funzionale sede aziendale, recentemente aperta in quel di Guagnano (LE). E qui ho potuto degustare il vino in questione, che ha avuto una macerazione sulle bucce di 21 giorni con frequenti rimontaggi. Mentre l’affinamento e l’elevazione in acciaio e in bottiglia si è protratto per nove mesi. La gradazione alcolica è di 14 gradi. Nel bicchiere il colore, com’è giusto che sia, è ancora in una fase evolutiva, pur evidenziando un rosso già abbastanza rubineo-purpureo. Al naso risaltano odorose ed esemplari profondità di piccoli frutti di bosco, come lampone, ribes e mirtillo, con persistente densità aromatica e seguite poi da effluvi balsamici e lievemente speziati. Le caratteristiche varietali si sono fuse all’unisono e lasciano trasparire soltanto piccole differenze tra di loro.
Tralasciando la connotazione di quelle autoctone, bisogna dire che il Cabernet (“un vitigno senza difetti” come fu definito dal Barone di Montesquieu già nel Diciottesimo secolo) mette in evidenza le sue peculiarità di portatore di note vegetali, come il peperone verde e il bosso; il Merlot regala tipiche nuances speziate di pepe nero e noce moscata e ricordi erbacei; lo Shiraz (o meglio ancora Syrah) invece espone aromi di frutta rossa matura, insieme a quelli speziati ed erbacei. Il palato conferma tutto questo e poi emette il suo definitivo e determinante giudizio: ingresso caldo e accattivante; ottima acidità di partenza, con tannini già moderatamente levigati; buona persistenza e corposità; impalcatura strutturale imponente, anche se ancora da definire completamente. Non dimentichiamoci che siamo ancora all’inizio del percosso. Abebe Bikila ha compiuto soltanto pochi passi dei 42,195 Km per arrivare al traguardo. E Pavarotti è in attesa che termini l’ouverture. E’ facile vaticinare, quindi, una lunga vita a questo vino. Riassaggiamolo tra qualche anno, senza tralasciare, comunque che già adesso risulta godibile, con piatti di pasta al sugo, carni bianche e formaggi poco stagionati. Prosit!
Enrico Malgi
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