![Timorasso, uve](https://www.lucianopignataro.it/wp-content/uploads/2017/08/Timorasso-uve-e1503511878257.jpg)
di Erika Mantovan
Parliamo del tempo? Dopo aver letto l’ultimo scritto di Carlo Rovelli affrontare questo tema non mi pare certo un passatempo da poco al contrario è tra i più complicati perché è la firma della nostra memoria. E con il suo scorrere, a tratti gli eventi appaiono sfuocati e quel tocco di unicità -di un momento o di un giro fantastico del pensiero intorno alla Terra- quello, si, è perso se non lo si coglie. Sappiamo che scorre più veloce in montagna che in pianura, i ritmi sono diversi cosi come la loro contestualizzazione in ogni luogo.
Ed esiste anche una direzione, del tempo, dal passato al futuro perché ora, adesso, mentre si scrive e legge il tempo è passato. E se i principi di termodinamica sono distanti da noi e facciamo finta di non capirli non possiamo esimerci dall’eternalismo dell’attitudine dell’uomo ad ambientarsi alla “variabile natura”: il mutamento del tempo (il meteo) e le decisioni di coltivare l’uva e, con lei, tutte le colture. Il filosofo greco Anassimandro diceva che “le cose si trasformano l’una nell’altra secondo necessità e si rendono giustizia secondo l’ordine del tempo”.
E questo tempo e il suo “ordine” nella zona del tortonese lo ripercorriamo con i lineamenti climatici che spaziano, da un periodo arido e caldo (200-400 d.C) a uno fresco e umido tale da definirlo una piccola età glaciale altomedioevale, in scena dal 500 al 750 d.C. In questi intervalli l’abbassamento della temperatura e la siccità sono alcune delle cause delle crisi agrarie. E nonostante le invasioni barbariche e delle cavallette, seguite da una seconda fase calda (750-1300 d.C) con pozzi secchi e la comparsa della vite persino in Inghilterra, gli insediamenti umani e l’agevolazione del commercio non si sono mai arrestati.
La “sala cinema” che proietta questa storia contemporanea è Tertona o Derdona (oggi Tortona) città “degna di considerazione” già ai tempi dell’Imperatore Augusto, vittima del terribile Barbarossa e preziosa alleata della città Milano. Ma si parlava del tempo, poco fa. Il suo “passare” è confermato con la leggendaria precisione dei monaci benedettini e la costituzione di monasteri, i luoghi di partenza di quello che vogliamo raccontare: il vino. La cura delle parcelle migliori di uve Barbera, Croatina, Dolcetto e Timorasso formano oggi i Colli Tortonesi. In origine gli ettari proficui sono 5000 in cui trovano spazio anche pesche e ciliegie. E nel fluire dello spazio – tempo l’areale si è ridotta e conta in questo dinamico presente “soli” 2000 ettari. Di questi, 1500 sono tutti a favore della Barbera con la zona di Monleale a farla da Regina. Lo “spettacolo Timorasso” debutta grazie a Walter Massa e continua a stupire grazie alla comprensione ed apprezzamento, sempre più vivi, della singolarità di quest’uva coltivata in marne azzurre del periodo Tortoniano composte da terreni compatti e ricchi di depositi marini ed argille che colorano sei valli: Scrivia, Curone, Ossona, Grue, Borbera e Spinti.
E se siamo abituati ad assistere alla nascita di fenomeni (intesi come “mode” ed “consumi”) sappiamo anche che arriverà, inesorabile, il tempo dello sviluppo ed espansione massimo. E in questa prima “serie Tv”, diventata ormai un cult, le novità che invogliano a seguirla non sono tardate ad arrivare: la cantina Oltretorrente è una realtà giovanissima che crea un bel “logico disordine”. La qualità raggiunta dei vini partoriti in soli 7 anni di attività è strabiliante. Chiara e Michele sono due giovani agronomi che dopo la laurea e qualche esperienza in cantine delle Marche finiscono tra i Colli tortonesi. Un caso, un destino, fatto sta che si spingono fino a Paderna e qui trovano la strada per iniziare il proprio percorso come produttori con 50mila euro. L’ integrità e l’ampia superficie un po’ libera ed incontaminata a tratti abbandonata da vecchi contadini era pronta a concedersi e liberare, insieme a loro, il proprio talento. E allora nel 2010 si parte e si lavora alla vecchia maniera: con passione e manualità. I 7 ettari sono suddivisi in 6 diverse parcelle in cui le piante si trovano esposte a Nord e a Sud a 300 metri, e sono di età sia secolare che giovane (15 anni). Il tutto è lavorato con approccio sano e sensibile finalizzato al recupero della naturale fertilità dei suoli. Oggi l’azienda è certificata biologica.
E nella cantina, dove tutto è iniziato, nel cuore del paese, quando si scende sotto terra si trovano vecchie vasche in cemento, ancora usate per le fermentazioni, e le barrique francesi destinate all’affinamento dei rossi.
Il tempo è il risultato di trasformazioni e fatiche e regala, infatti, molte soddisfazioni: per Oltrettorente si sono aperti e sviluppati i mercati stranieri (15) e quello italiano. Con i primi guadagni si è dato il là ad ulteriori investimenti e quindi nuove vasche da inserire in un locale più grande e funzionale cosi da continuare a sfidarsi focalizzandosi, in primis, sul vitigno più redditizio: il Timorasso. Questa “nicchia ecologica” è degna del nome Oltrettorrente alias “Parma Vecchia”, conosciuta per aver sempre ospitato gente lontana e diversa. Dopo la nascita dei figli e Michele e Chiara sono stati ancora più generosi con questa terra. Generosi, si, come i loro vini: il Cortese 2016 si illumina nel bicchiere con scintille di pompelmo e mallo di noce. E al palato si scalda con equilibrio e costante sapidità e freschezza. E il Timorasso? Quello nato nel 2010 è un velluto di agrumi. Una plancia strutturata e piena. Un grande artista che pittura una tela delicata e fresca a pastello che sa di zafferano.
E il risultato del tempo a volte riesce a tramutarsi anche in un qualcosa di scioccante e quindi di indefinito per la sua bellezza e ricchezza. Nel percorrere le curve della Val Borbera con Ezio Poggio (titolare dell’omonima azienda) si ascolta la storia e si scoprono delle “antiche novità”: chiese, abbazie, castelli e tanto, tantissimo verde. “Un tempo qui era tutto una vigna” -dice Ezio – e “ho recintato la mia per evitare di farmi mangiare tutto dai cinghiali”. E questa sua creatura si trova quasi sul tetto di una collina sempre luminosa e ventilata. Circondati da boschi e rocce, dall’aria che tira sembra quasi di essere in montagna, con il Borbera e le sue suggestive gole delle “Strette” a riflettere i raggi del Sole. L’azienda Poggio, attiva da cinquant’anni, è stata una delle promotrici del recupero del Timorasso (abbandonato dopo lo spopolamento del secondo dopoguerra) e nel “nostro tempo”, i sei ettari di Ezio sono tutelati e rientrano nella DOC “Terre di Libarna”, sottozona dei Colli Tortonesi nata nel 2011 dopo un lungo lavoro di studio e riqualificazione svolto con vivace entusiasmo. “Terre di Libarna” perché questa città romana (Libarna) della Liguria ha visto il suo sviluppo con l’apertura della via Postumia nel 148 a.C. e si è trasformata in un importante centro economico e sociale forte anche della sua prosperosa viticoltura oggi rinata. Il vino prodotto in questa spettacolare plaga si chiama “Archetipo” e quindi un’idea diventata principio e modello che dopo cinque anni profuma di lice e polvere di zafferano che preparano ad un sorso carico con souplesse granulare e freschissima che ricorda la rugiada del mattino nel fin di bocca. È un esempio che al momento dell’assaggio diventa una risposta che a sua volta formula domande: “Cosa dire in futuro? Come sviluppare la DOC nel tempo”? Sarà proprio lui, il tempo, a dare le risposte incontrandosi con le volontà del territorio. Non mi stupirò se si vedrà nascere una nuova DOCG.
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