Antica Pizzeria Da Michele a Milano. Arriva, lancinante, una stroncatura del Secolo d’Italia. Anzi, per essere precisi, dalla Pecora Nera, un editore che da sempre si è distinto per essere al servizio dei clienti e non dei cuochi e dei pizzaioli e che pubblica guide redatte in anonimato e paganti come la nostra 50 Top Pizza.
Ed è questo il motivo per cui ci soffermiamo su questa stroncatura, perché riconosciamo autorevolezza a chi l’ha fatta, niente a vedere con l’attacco a Sorbillo sulla pizza fritta fatta da un tipetto sul Sole 24 ore insomma.
Il secondo motivo per cui ci piace analizzare questo punto di vista è che è diametralmente opposto al nostro. Noi siamo stati in anonimato e paganti a Milano e ci siamo trovati bene, le pizze era le stesse che troviamo nella storica sede di Forcella, il personale tipico delle pizzerie napoletane, veloce e abituato ai grandi numeri.
E allora?
Vediamo.
OFFERTA
Scrive il Secolo d’Italia: “Il menù è molto stringato, con solo tre antipasti, tre pizze (marinara, margherita e napoletana; per la prima è prevista l’opzione del formato maxi, per la seconda quella dell’aggiunta della doppia mozzarella) e un calzone al forno e uno fritto. Il voto basso riflette un giudizio complessivo poco più che accettabile, dovuto non tanto all’impasto che comunque risulta abbastanza fragrante, anche se con ampi margini di miglioramento, ma soprattutto a un servizio inefficiente e impreparato, intollerabile visti i prezzi. Per la nostra cena abbiamo iniziato con l’antipasto “Don Luigi” composto da pasta annodata fritta accompagnata da passata di pomodoro e stracciatella di bufala, dove il fritto leggero e non unto è risultato piacevole nell’attesa (molto lunga) della pizza. Deludente la margherita provata, un disco di pasta steso troppo sottile e con poco condimento e uno spiacevole sentore di bruciato pur non presentandone i segni. Leggermente meglio è andata con il calzone ripieno di cicoli e salame di maiale nero casertano, mozzarella, fior di latte di Agerola, ricotta di bufala, pecorino Dop, pepe e olio, dove l’insieme degli ingredienti creava un gusto armonico. Anche la lista delle bevande risulta molto scarna, con la presenza di bibite gassate e qualche birra alla spina”.
Per noi che conosciamo la sede unica il menu ci è apparso addirittura troppo ricco. Il punto è che se uno va Da Michele si aspetta Da Michele a Forcella. E noi proprio quello abbiamo ritrovato evitando di scegliere la Maxi. Definire difetto la pizza sottile significa non capire che è proprio quello lo stile Condurro e che può piacere o meno ma sicuramente non è un difetto ma una scelta. Parlare di poco condimento significa non aver mai mangiato una vera pizza napoletana tradizionale che ha solo tracce di latticino e non è seppellita, come purtroppo capita sempre più spesso, dalla mozzarella e fiordilatte. Perciò qui si prevede la formula Maxi. Stesso discorso per la lista delle bevande, anche a Forcella molto ristretta. Sull’attesa lunga non sappiamo che dire perché noi non trovammo fila e i tempi di attesa furono nella media. Una ventina di minuti.
SERVIZIO
Saltiamo le critiche all’ambiente che sono soggettive, ribadendo che a noi lo spazio è piaciuto a dispetto di chi dice che le pizzerie Da Michele dovrebbero essere tutte uniformi all’originale. E passiamo al servizio che qui è senza appello.
Scrive il Secolo d’Italia: La pizzeria non prevede la possibilità di prenotare il proprio tavolo, quindi mettete in conto una fila lunga da fare. Il servizio, inoltre, è praticamente inesistente e deve essere più volte sollecitato anche solo per procedere con l’ordine. Una volta seduti, poi, il personale risulta poco cortese, frettoloso, disattento.
La questione delle file fa andar di matto i giornalisti milanesi e la sottolineano sempre. Ma se io vado a mangiare il pastrami da Katz a New York mi sottopongono alla stessa fila, pioggia, neve o solleone. Con un robusto guardiano che dirige autorevolmente il traffico come se fosse dell’ufficio emigrazione. Il napoletano è popolo paziente come erano i russi ai tempi dell’Urss sia per la pressione demografica che per la cronica insufficienza dei servizi. Si fa la fila su tutto, si chiacchiera, si fa conoscenza e si passa il tempo. Non avere fretta è l’imperativo categorico per vivere bene la città.
Spiazzato dunque da queste diversità di opinione, sono andato a vedere cosa succede nel mondo Trip. Ed è questo il motivo per cui ho fatto questo post: vedete la differenza di giudizio tra le sedi di Napoli e Milano.
DA MICHELE QUI MILANO
DA MICHELE QUI NAPOLI
Come vedete mentre a Milano il pubblico si divide a metà, a Napoli il consenso arriva al 70%.
Allora il tema è sino a quando è esportabile il modello napoletano a Milano? Fare la fila a Forcella, trovare solo due magnifiche pizze poco condite e con olio di semi significa vivere la pizza lì dove è nata e come è nata. Cibo povero, poco condito, da mangiare con la fame. Non a caso, per me super anta ormai, la mia madeleine proustiana. Fare la stessa cosa a Milano ha un significato completamente diverso e dunque il risultato diverso.
Ma non ci vogliamo fermare qua perché non è solo questione di ambiente. Prendiamo il caso di un altro grande sbarcato a Milano, Gino Sorbillo e prendiamo Lievito Madre sul lungomare di Napoli e Lievito Madre a Largo Serva.
LIEVITO MADRE QUI NAPOLI
LIEVITO MADRE QUI MILANO
Come si vede il giudizio napoletano è positivo su Lievito Madre (ovviamente non abbiamo preso Sorbillo ai Tribunali come riferimento) e arriva a 54% tra molto buono ed eccellente mentre a Milano è addirittura superiore: 57% tra molto buono ed eccellente. E anche gli altri tre parametri di TripAdvisor sono gli stessi.
Quali conclusioni trarre da queste osservazioni? Difficile dare una risposta, peché il concetto è: quale pizza napoletana può essere esportata fuori Napoli? Lievito Madre fa una pizza napoletana a ruota di carro ma il format è nato di recente e dunque pensato per un pubblico giovanile che oggi è sicuramente più omologato in tutta Italia di quanto non fosse settanta anni fa. E dunque è più facilmente leggibile anche fuori Napoli (ad esempio parte con più mozzarella e con una offerta di birre artigianali e vino molto più ampia) mentre il modello Da Michele deve essere vissuto e poi rivissuto fuori come è successo a noi.
Noi abbiamo fatto più di un convegno su questo tema, ossia della esportabilità del modello napoletano fuori Napoli e in occasione di TuttoPizza Franco Manna presentò il modello Rossopomodoro, adesso controllato da fondi inglesi, criticando il franchising perché accelera all’inizio ma alla lunga comporta troppi problemi. Ma il punto di vista da Michele è diverso, perché è già un marchio forte in tutto il mondo e non si deve affermare come è successo con Rossopomodoro.
Dunque una volta tanto vi lascio senza conclusioni perché vendere non è il mio mesterie. Solo il tempo, cinque, dieci anni, ci dirà veramente qual è il modo migliore per incorniciare lo stile napoletano fuori Napoli. Però agli amici di Milano posso dire con certezza: se volete provare davvero la pizza di Michele prendete quella criticata dalla pecora Nera. Che vi piaccia o no è un altro discorso.
Perché la pizza, non sia un ossimoro, è la gioia della povertà.
Qui il link della stroncatura del Secolo d’Italia.
Antica Pizzeria Da Michele Milano
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