Striano (Na), Masseria Rivolta. Le carni perdute per la Cena Ecumenica degli Accademici

Pubblicato in: Gli agriturismi più belli

Via Rivolta (Uscita Sarno A30)
Tel. 081.8654672 – 334.3147926
www.masseriarivolta.it

di Tommaso Esposito

Questa masseria è una grande casa di campagna sulla riva del fiume Sarno nel suo tratto più bello e pulito.
Nel giardino, vicino agli orti e alle aiuole con le erbe aromatiche, vi crescono rigogliosi, chissà perché, alberi di pepe rosa, profumati per le bacche e anche per le foglie dentate. Ne sono una quindicina.
Di giorno sarà bellissimo, ma vi siamo capitati di sera con una luna sorridente più che mai.

L’Accademia Italiana della Cucina di Nola, con il suo delegato Giuseppe de Martino, ha qui consumato la sua Cena Ecumenica, l’evento che ogni anno, alla stessa ora in tutto il mondo riunisce intorno alla tavola gli accademici eredi di Orio Vergani.

Si celebravano “Le carni dimenticate”.

Tema affascinante: dal quinto quarto ai salumi insoliti.
Una cucina delle identità locali, dunque.
Ma anche una cucina che del riuso degli scarti e del consumo consapevole, diremmo oggi parafrasando la cultura dei ”verdi”.
Nello Lombardi, ospite e anfitrione di questa casa sempre aperta (basta chiamare) si è divertito alla grande insieme a Gianni Vastola e ai suoi collaboratori tra i fornelli.
Vediamo un po’.
Gli antipasti di carne salata, i salsamenta, i salumi e i prosciutti.

Quello di capra il cui sentore si avverte con piacere.
Quello di vitello, appena affumicato, che qualche commensale chiama picanha, intendendo la coperta di spalla del bovino trafilata di grasso che la rende simile alla ventresca.

Poi il mascariello guanciale del maiale in un fresco salmoriglio al limone.
I testicoli lessi sono piaciuti appena si è superato l’innato timore dell’insolito.

E così pure la rognonata di porco con le cipolle.

Tranquillizzano i fegatini di maiale fritti in padella con la foglia di lauro e la rezza, cioè l’omento grasso. E la familiare busecca, la trippa cotta nel sugo di pomodoro.

Sconvolge per i suoi forti sapori, antichi come gli aruspici che divinavano con essa, la milza imbottita di prezzemolo, menta, aglio, pecorino e cotta nell’aceto di vino rosso.

Ci si accapiglia tra ortodossia e vezzo leghista per nominare la polenta con il soffritto di maiale, la zuppa forte.
C’è chi sostiene con forza, ed io sono fra questi, di bandire il termine padano e chiamarla come si deve, se non altro in onore dell’Abate Galiani: ‘a farenata ‘e farenella c’ ‘o zuffritto! Punto.

Le candele con il ragù rraù, di pezzentella ha peppejato dieci ore. Si sente e riscatta questa salsiccia fatta di ventresca, prosciutto e mascariello.

Non ho il coraggio di assaggiare la colardella di asino. Ho dei limiti animalisti: ‘o ciuccio mi intenerisce troppo da vivo. E poi è il simbolo del calcio Napoli.

Buoni sono invece i broccoli schitaiuoli, una varietà locale che ha le foglie lanceolate e piccole come l’ulivo, saltati, scoppettiati, in padella e le verdure marinate al limone.
Una mela annurca con confetture d’arancio per finire.

Luccicano di bruno le scioscelle e le sorbe mature in un angolo. Fruuta dimenticata.

E’ stata una grande cena ecumenica. Con qualche ospite di livello. C’è Pasquale Marigliano .

E anche Muccillo. Quello della rubrica Antichi Sapori, Rai Tre Campania: in giro in lungo e il largo per la regione ogni sabato alla 14,10 negli ultimi vent’anni, ma ora a riposo. C’è chi ha gridato: “Ridateci Nicola!” Ha ragione.


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