di Luciano Pignataro
Una stella Michelin in pizzeria. Albert Sapere ha sollevato il tema su Facebook e su questo sito, Aldo Fiordelli ci ha costruito un ragionamento di scelta politica.
Un dato è certo, non è una discussione astratta.
In primo luogo, a prescindere dalle stelle date a Pub londinesi e Sushi in giro per il mondo, ci dobbiamo fare la domanda se esistano o meno le pizzerie che hanno questi requisiti. Una obiezione che il direttore di Michelin Italia Sergio Lovrinovich ha fatto a Paolo Marchi che glielo chiedeva, è che la pizzeria è troppo artigianale per poter assicurare una affidabilità totale ed è preccupazione della Rossa consigliare posti che non vengono mai meno da questo punto di vista.
Una obiezione fondante perché la pizza è un prodotto che risente in maniera significativa di molte variabili, dalla temperature del forno, all’umidità, alla mano del pizzaiolo. Si potrebbe obiettare romanticamente che proprio l’imperfezione, cioé la non replicabilità assoluta, è uno dei motivi del fascino e del successo della pizza.
Ma si tratta di una obiezione da gourmet, non da clienti normali che invece vogliono esattamente ritrovare quello che viene descritto loro.
Nonostante ciò dobbiamo fare delle osservazioni, nel merito, che giocano a favore di una stella.
1-La pizza nel giro di pochi anni ha subito lo stesso processo del vino negli anni ’90: si registra un miglioramento epocale e generalizzato, non è più un cibo etnico napoletano. Primo perché il modello partenopeo viene esportato ovunque nel mondo oltre che in Italia. Secondo perché dalla scuola veneta di Padoan e Bosco oltre che da quella romana arrivano segnali di crescita precisi ed è sempre maggiore l’interscambio del mondo della pizza con quello degli chef.
2-Il mondo della pizza è l’unico segmento gastronomico nel quale tutti puntano alla qualità perché conviene. Lo abbiamo scritto, i pizzaioli hanno compreso l’importanza di migliorare l’offerta della materia prima.
3-Gli investimenti in questo settore continuano a crescere, dreanati da altri comparti economici e dell’alimentare. Il risultato è che abbiamo pizzerie sempre più belle, ricche, alcune con un design interessante e impegnativo.
4-E’ vero dunque che la pizza ha molte variabili ma ormai ciascuna delle pizzerie che sono al top ha un range ben definito di qualità e di riconoscibilità. Non bisogna essere esperti per distinguere la pizza di Coccia da quella dei Salvo e via discorrendo.
5-Il mondo della pizza è anche in fortissima espansione e una guida che vuole indirizzare i propri clienti non può non tenere conto, in parte già lo fa, che a Napoli in tanto vengono proprio per mangiare la pizza.
6-Ormai le pizzerie più importanti hanno carta dei vini e carta delle birre e qualcuna, pensiamo a Pepe in Grani, anche delle stanze che non sono conditio sine qua non per una stella ma aiuta nel ragionamento.
7-Un motivo che mette la pizza nella lente della Michelin è anche la prossima decisione Unesco sulla eventualità di dichiarare l’arte dei pizziaoli napoletani patrimonio immateriale dell’umanità. Assegnare una stella significherebbe anticipare una notizia clamorosa. A meno che non prevalga il ragionamento contrario, meglio aspettare e poi magari muoversi il prossimo anno.
8-Infine c’è il precedente nel 1962 con la pizzeria Negri di Pontecagnano
Detto questo è vero quel che ha sostenuto Aldo Fiordelli: se la rossa non ha grandi novità, la probabilità di una stella alla pizzeria potrebbe aumentare. Se invece c’è qualcosa di clamoroso, come ogni anno si dice nelle due settimane che precedono la presentazione, potrebbe essere rimandate. Se invece ci sarà insieme alla notizia clamorosa allora vuol dire che davvero la Michelin è più forte delle logiche mediatiche.
Ecco perché non è astratto parlare di una stella Michelin in pizzeria.
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