Bisogna dire che Berlusconi uscì decisamente meglio dallo studio di Santoro della Mozzarella di Bufala dop. A lui è stato riservato il diritto di replica, ritengo concordato con i suoi ferrati avvocati, che ai poveri produttori di questo latticino non è stato concesso. E all’ex premier, nonché suo ex editore, Santoro ha anche riservato una buona dose di empatia almeno pari al disprezzo manifestato verso il prodotto della sua terra che salva zootecnia e reddito rurale dall’aggressione del cemento. Insomma, Berlusconi ci ha guadagnato, la mozzarella è uscita distrutta.
Ci riferiamo alla puntata di Servizio Pubblico sulla mozzarella di bufala.
La tecnica di demolizione di qualcosa o di qualcuno è ben nota dai tempi delle Catilinarie: si prende un aspetto negativo capace di colpire l’immaginario, chessò, il naso grosso, e si martella su questo sino all’ossessione.
Il servizio di Stefano Maria Bianchi usa esattamente questa tecnica nel servizio La Vera Bufala andato in onda su Servizio Pubblico che potete vedervi cliccando qui. E’ show, non giornalismo d’inchiesta perché sviluppa una tesi pre-costituita solo fingendo di dare diritto di replica agli imputati del programma. Non c’è una notizia che non sia stata già pubblicata e strapubblicata.
E’ evidente in almeno due passaggi che da soli bastano a smontare l’impianto accusatorio su cui è stato costruito il servizio, e che cioé il prodotto più amato dagli italiani dopo il grana a cui lavorano 16.500 persone, l’unica dop del Sud, è in mano ad una gang di avidi produttori collusa con la camorra che non si fa scrupolo di usare ogni trucco ai danni dei consumatori per guadagnare.
Lo è quando parla di Paestum, inquadrando delle case abusive, o i venditori di cianfrusaglie che stanno davanti ai templi, gli stessi che trovate al Colosseo e in qualsiasi monumento visitato da milioni di persone, lasciando immaginare una sorta di inferno quando la realtà, che Santoro conosce bene avendo trascorso tante estati nel Cilento, è esattamente opposta. Anzi, nella litoranea pestana tra il 1998 e il 2000 furono abbbattute oltre 400 villette abusive costruite su suolo demaniale nella più grande operazione mai fatta nella storia della lotta alla cementificazione italiana.
A Paestum si è svolto all’inizio di maggio un congresso gastronomico, Le Strade della Mozzarella, con il Gotha del settore italiano e tutti possono testimoniare che la realtà è fatta invece di caseifici visitabili, acque pulite, aria non inquinata, spazi ampi, cantine, ristoranti di qualità, alberghi ben funzionanti.
Il secondo è un trucco tecnico poco percepibile se non si è dentro i meccanismi di costruzione della notizia. La trasmissione è basata su un vecchio rapporto dei carabinieri consegnato all’ex ministro leghista Zaia al quale non parve vero di intervenire contro il Consorzio. Ma dopo è cambiato il vertice del Consorzio ed è cambiato il direttore, è stato adottato un codice etico, si è accolto anche il caseificio costruito da Libera. Bene, come si giustifica l’attacco al presente usando il passato? Con la classica domanda retorica al colonnello che ha fatto le indagini a fine trasmissione: “ci dicono che ora tutto è cambiato e che il rapporto riguarda il passato, lei cosa ne pensa?” E cosa ne può pensare un uomo delle istituzioni se non rispondere: “salvo verifiche”?
Così questo passaggio “copre” il servizio sul piano legale senza però perdere l’effetto show demolitore sulla tesi di partenza, mozzarella eguale camorra.
Insomma, come se per parlare della Franciacorta si partisse dallo smog di Milano e dall’inquinamento della Padania, o dei veleni di Porto Marghera e della mafia del Brenta per un servizio sul Prosecco. Il frappé mediatico di Stefano Maria Bianchi-Gabibbo mette insieme territori distanti tra loro anche più di 150 chilometri ma che nell’immaginario collettivo nordico, su cui punta il filmato, è contiguo.
Un altro elemento fastidioso del servizio è la confusione sui due piani tra scontro sull’idea di prodotto e questione legale. C’è chi pensa che sia necessario usare latte congelato per aumentare la produzione e l’export. E chi invece difende la posizione del metro zero o della produzione contenuta.
Inutile dire noi con chi stiamo, ma pensare che da una parte ci sia legalità e dall’altra illegalità è solo un gioco sofistico per distinguere bianco e nero che nella realtà non esistono.
Come se, parlando di pasta, sostenessimo che l’industria alimentare bara essiccandola in poche ore invece di farlo lentamente. In realtà si tratta di due prodotti diversi che hanno lo stesso nome, il punto è che basta dirlo. Cosa che proprio la grande industria non vuole, quella delle mozzarelle blu di Granarolo di cui nel servizio stranamente non c’è alcun cenno. Come mai?
Lasciando da parte la triste messa in scena da show stile Iene di Bianchi-Gabibbo che vende mozzarella falsa in piazza, è infine incredibile poi l‘artificio sulla società di certificazione: per tutto il pezzo si sostiene che i controllori avvertivano i controllati, poi si critica il consorzio perché ha cambiato i controllori!
Dopo questo servizio, la potenza di fuoco della trasmissione e la sua capacità di formare opinione, la grande industria continuerà ad agire indisturbata, quelli dell’areale che volevano diventare grandi troveranno molte difficoltà, mentre chi lavora onestamente, i piccoli e medi, prima di presentare il prodotto, dovranno prima spiegare di non essere camorristi. E così anche i ristoratori italiani che la usano e la amano, i pizzaioli che l’hanno adotatta, e tutto l’indotto.
Già, perché Bianchi non ha detto per esempio che l’incidenza delle brucellosi nel Casertano dopo il piano della regione del 2008 è attestato sotto la media italiana? Che si tratta di uno dei prodotti più controllati, senza conservanti e coloranti come invece la maggior parte del cibo che si vende oggi in Italia?
L’ennesima sconfitta mediatica di un territorio che a fatica si sta riprendendo e che vede tanti giovani coinvolti nella speranza di riscatto economico sociale. Un settore in cui la Campania primeggia nonostante la stessa coglionaggine di tanti produttori e la visione miope che sempre accompagna ogni attività umana.
Ma alla fine, decidiamoci: i Casalesi sono la camorra moderna dei traffici internazionali e dello spaccio low cost di coca a Napoli o sono solo astuti mozzarellari che non sanno neanche parlare in italiano davanti alle telecamere?
E i veri nemici della mozzarella dop sono quelli che vogliono usare latte congelato o le grandi multinazionali di cui in questo servizio pittoresco non c’è traccia?
Naturalmente, ça va sans dire, di sentenze passate in giudicato neanche l’ombra. Ma neanche di primo grado in verità. Ma questo è un trascurabile dettaglio, soprattutto se ricordato davanti a una discarica di riufiuti industriali cui segue l’immagine di bufale.
Si dice che invecchiando si torna bambini. Non vorrei che Santoro, dopo aver creato un nuovo stile televisivo portanto le piazze che urlano Barabba dentro gli studi, terminasse la sua grande carriera tornando a fare i processi stile Servire il Popolo della sua adolescenza, dove sul banco degli imputati c’era chi giocava a tennis perché borghese.
A Stefano Maria Bianchi-Gabibbo offriamo invece questa mozzarella
L’unica cosa sensata è riuscito a farla dire al ministro De Girolamo: “La mangio e la faccio mangiare anche alla mia bambina”
Questo servizio mi ha ricordato molto la copertina dell’Espresso su Velenitaly, una brutale inchiesta che prendeva le mosse da alcune vecchie contraffazioni scoperte in Veneto per mettere sotto accusa uno dei pochi settori capaci di reagire alla crisi e di crescere in questi anni.
Le ragioni dell’economia non possono nascondere magagne, truffe e falsi. Ogni settore economico florido ne ha, per carità. Lo sa bene Bianchi che viene da Taranto dove c’è l’Ilva.
Ps.
Sono sempre più affascinato dai moderni comportamenti antropologici di massa, ossia quando una comunità si muove come un individuo e spero di poterli studiare con il tempo perché alla fine è il succo di cui mi sono sempre occupato.
Il Primo è la dialettica produttori-commercianti che ritroviamo anche in questa filiera e che noi ben conosciamo sul vino. Da sempre i produttori di materia prime accusano i commercianti di rubare e di sfruttare il loro prodotto. Salvo poi spesso fallire quando si mettono in prima persona a farlo. Una dialettica ancestrale che risale alla trasformazione dei prodotti in merce e che nella filiera bufalina si ritrova pari pari.
Il secondo aspetto che mi affascina è questo. Il servizio sfrutta bene, è il suo pieno psicologico di tutta l’ora e venti, i radicati luoghi comuni antimeridionali possibili e immaginabili così come li ha fissati a partire dal ‘600 la Commedia dell’Arte: il genovese avaro, il milanese operoso, etc etc
Al tempo stesso sfrutta anche la coglionaggine individualista dei meridionali: di fronte a uno che ti dice che la mozzarella, la bandiera di un territorio, è in mano alla camorra, qual è la reazione? Di sfruttare l’opportunità individualista affermando: ma io non c’entro, anzi ti dico io come stanno le cose.
Una sindrome di Stoccolma che punta a sfruttare le piccole opportunità, ad accontentarsi delle molliche invece di puntare alla briosche perché risultato di una sconfitta segnata dalla nascita.
Insieme non ce la possiamo mai fare, ma da solo forse riesco a cavarmela: in fondo il Sud è questo
Così il cerchio magico è completo e la fiaba termina con: ci sono anche piccoli e bravi produttori onesti. Che non daranno mai fastidio commerciale alle Granarolo dalla mozzarella blu.
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