di Cosimo Torlo
In questo marasma in cui oggi viviamo, anche le verità storiche tendono ad eclissarsi, coperte da un ammuina che ci fa perdere di vista i dati storici oggettivi, un dato che non possiamo dimenticare riguarda la nascita del metodo classico italiano. Ebbene questo nasce in Piemonte perché già dall’inizio dell’800 quando i conti di Sambuy, influenzati dalla vicinanza geografica e culturale con la Francia con le sue produzioni vinicole, diedero inizio in Piemonte alla coltivazione di alcuni vitigni francesi, Pinot Nero e Chardonnay in particolare, per produrre vini spumanti sul modello di quelli della Champagne.
Il passo successivo di deve a Carlo Gancia, il quale dopo gli studi di enologia, partì per Reims con l’obiettivo di apprendere i segreti della produzione dello Champagne. Una volta rientrato a casa avviò insieme al fratello Edoardo una piccola attività, dove iniziò la produzione del primo spumante italiano utilizzando le tecniche di lavorazione del metodo “champenoise”. Convinto che il terroir piemontese fosse ottimale per la coltivazione e la produzione di uve da spumante, Gancia iniziò un periodo di lavoro e sperimentazione, coltivando Pinot Nero e Chardonnay soprattutto nella zona di Canelli, aprendo la strada a molti altri produttori del territorio. E questa è appunto storia, tutto il resto in Italia è arrivato dopo.
Nel corso degli anni di mezzo molte altre realtà sono nate, tra quelle più note il Trento Doc e la Franciacorta, ma soprattutto nel corso dell’ultimo decennio la produzione di spumanti metodo classico si è estesa in maniera esponenziale per tutto lo Stivale. Ma i piemontesi non sono stati a guardare, anzi forse hanno tergiversato fin troppo, e infatti bisogna aspettare il 1990, esattamente il 28 febbraio quando alcune tra le case spumantiere piemontesi più antiche; Cinzano, Contratto, Fontanafredda, Gancia, Martini&Rossi, Riccadonna e Vini Banfi sottoscrissero un impegno comune per la coltivazione in Piemonte di vitigni Pinot Nero e Chardonnay per la produzione di vini da spumantizzare, quella fu la data di un inizio di percorso chiamato “Progetto Spumante”, che nel frattempo si era allargato a 21 cantine che portò nel maggio del 1992 alla sua presentazione ufficiale a Torino. Nell’anno successivo cambiò nome in “Tradizione Spumante”, e in quello stesso momento si costituì ufficialmente l’associazione dei soci aderenti. Ma è nell’96 che si studiò il nome commerciale, quello che prevalse, sulla base di ricerche territoriali e toponomastiche, fu “Alta Langa”.
Il 10 maggio del 1999 si tenne il primo brindisi con lo spumante Alta Langa nella sede della Comunità montana, a Bossolasco: fu la prima uscita ufficiale del nuovo spumante piemontese metodo classico per il quale era già stato avviato, presso le sedi competenti regionali e nazionali, l’iter che avrebbe portato al riconoscimento della Denominazione di origine controllata. Ma non è finita qui, perché il Consorzio Alta Langa in quella che è ancora oggi la sua guida nasce nel giugno del 2001 contando su 48 soci di cui 41 viticoltori e le prime sette case: Barbero 1891 (Enrico Serafino), Bersano & Riccadonna, Giulio Cocchi, Fontanafredda, Gancia, Martini & Rossi, Vigne Regali. La certificazione ufficiale arriva con la Gazzetta Ufficiale che pubblicò il decreto di riconoscimento della Denominazione di Origine Alta Langa il 31.10.2002.
Come ben si comprende, i progetti che hanno a che fare con la terra hanno tempi lunghi, e abbisognano di viticoltori pazienti ed entusiasti per portare a casa il risultato. L’Alta Langa mi piace assai, un vino che bevo sempre molto volentieri per la sua innata personalità sabauda e internazionale al tempo stesso. La sua produzione prevede solo uve di Pinot Nero e Chardonnay, in purezza o insieme in percentuale variabile; può essere bianco o rosé, brut o pas dosé e ha lunghissimi tempi di affinamento sui lieviti, come prevede il severo disciplinare: almeno 30 mesi. L’Alta Langa è esclusivamente millesimato, riporta cioè sempre in etichetta l’anno della vendemmia. Sicuramente un vino per pochi, almeno per ora, perché ad oggi, le quaranta cantine associate producono 70 diverse etichette di Alta Langa grazie al lavoro di 90 viticoltori che lavorano circa 300 ettari di vigneto, (1/3 chardonnay, 2/3 pinot nero) per una produzione che non supera i 2 milioni e mezzo di bottiglie, che vanno velocemente esaurite. Un manipolo di produttori che spero sappiano difendere le peculiarità che i loro vini esprimono, espressione territoriale, prodotti nella cornice di una netta e chiara sostenibilità ambientale, il presupposto per definire ancor meglio il loro futuro commerciale all’interno di un mercato sempre più competitivo.
Grazie al supporto del direttore del Consorzio, Giulio Bava ho degustato 12 bottiglie di altrettanti produttori per verificare con naso e bocca il livello di qualità che Alta Langa ha raggiunto, un lavoro a dire il vero decisamente piacevole e tutt’altro che stancante. Detto che l’insieme della degustazione ha espresso una decisa positività, quel che è emerso è il taglio elegante, la finezza, e la decisa struttura, una bollicina piena di verve e persistenza. Direi che sul podio metterei a pari merito le bottiglie di Gancia con la Cuvée 60 anni Riserva 2010, la Riserva Coppo 2015, e Cocchi con il Blanc’d Blanc Brut 2015.
Un passettino sotto sempre a pari merito Ettore Germano con l’Extra Brut 2016 e Contratto con il Blanc de Blanc Extra Brut 2015. A seguire tutte le altre; Bera Brut 2013, Rizzi Pas Dosé 2016, Paolo Berruti Brut 2016, Banfi con Cuvée Aurora 2015, Pianbè Brut 2015, Casa Mirafiori Blanc de Noir 2016.
Dalla vendemmia 2020 2 milioni e mezzo di bottiglie di Alta Langa Docg Le Alte Bollicine del Piemonte dedicano a Torino gli scatti della campagna di comunicazione invernale Quaranta case associate al Consorzio che producono 70 diverse etichette di Alta Langa Docg; 90 viticoltori, 3 milioni di chilogrammi di uva raccolti dalla vendemmia della scorsa estate su circa 300 ettari di vigneto (1/3 chardonnay, 2/3 pinot nero), 2 milioni e mezzo di bottiglie che vedranno la luce tra non meno di 30 mesi, come prevede il disciplinare, lasciate ad affinare nelle cantine. Un valore commerciale di prodotto stimabile circa 100 milioni di euro.
Questa, in numeri, la fotografia attuale della denominazione Alta Langa. In un anno di incertezze e complessità, il Consorzio Alta Langa ha saputo ripensarsi e scegliere obiettivi ambiziosi, senza perdere il senso della progettualità, del rigore e della forte coesione tra i diversi attori del sistema. Dichiara il presidente del Consorzio, Giulio Bava: “In un periodo con minori occasioni di incontro, le vendite inevitabilmente rallentano ma l’Alta Langa non teme flessioni: produrre Alta Langa è un mestiere da ottimisti, che ci insegna il senso dell’attesa. Questo 2020 di difficoltà colpisce relativamente la nostra denominazione perché i millesimi che abbiamo oggi sul mercato sono quelli del 2015 e 2016 e sono tutti venduti in quanto la produzione di allora era inferiore al milione di bottiglie”.
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