Spot Tavernello
Lo spot Tavernello mi è piaciuto tantissimo. Ecco perchè
1-Adegua la comunicazione del vino a quella del food
Chi segue questo mondo da oltre un quarto di secolo, si è reso conto che a partire dalla metà degli anni ’90 la comunicazione del vino ha trainato di fatto tutto l’agroalimentare nei modi, nei contenuti e nei gesti. Una operazione imponente perché si trattava di strapparlo ai luoghi comuni, che ancora esistono, dargli una grande dignità, bussare e far aprire le porte di chi sino a quel momento considerava solo la Francia per i grandi vini. In questa spinta verso l’alto, il vino italiano (soprattutto i rossi e solo parzialmente le bollicine devo dire) ha rovesciato il luogo comune di chi non lo riteneva all’altezza. Si è trattato di una operazione collettiva, gigantesca, non di puro marketing, ma che ha avuto alle spalle almeno due generazioni di vignaioli che hanno investito, sudato, superato due gravi crisi (2001 e 2008), spinto verso l’export.
Ma con un grande limite: parlare solo alle elite dei consumatori, dimenticando il resto che ha avuto come reazione l’atteggiamento di zittirsi (io non capisco nulla di vino). Il cibo, nel frattempo, invece ha saputo coniugare alto e basso, ricchi e poveri, colti e ignoranti sia nella promozione che nel consumo. E’ vero, resta una grave idiosincrasia generalizzata per la cucina di autore, ma molti cuochi della nuova generazione sono diventati beniamini popolari (Cracco, Barbieri, Cannavacciuolo, Gennaro Esposito, Oldani, per certi versi anche Bottura e Uliassi).
Il vino invece non è riuscito a sfondare questo muro, da anni cerca nuove formule di comunicazione, è un po’ come la sinistra italiana: non riesce a parlare al popolo.
2-Arriva il populismo enologico
Dal punto di vista aziendale, impossibile pensare di coinvolgere la sommellerie italiana. Ecco dunque che si sceglie di parlare direttamente ai consumatori, un po’ come facevano Berlusconi, i 5 Stelle e adesso Salvini. “Non dategli retta, dicono solo stupidaggini, si beve per luoghi comuni, il nostro prodotto vale quanto gli altri”. Via la classe dei sacerdoti, degli scribi, di chi parla un linguaggio incomprensibile, vale ciò che piace. Insomma il marketing del Tavernello ha puntato direttamente a chi allunga le mani verso lo scaffale restituendogli pari dignità rispetto a chi invece compra bottiglie costose, ha studiato, insegna, conosce i territori, frequenta manifestazioni di vini naturali. Nell’era dei social ormai è così, siamo tutti uguali, tranne ovviamente chi decide gli algoritmi.
In effetti c’è un parallelo disarmante tra questa linea, che ha le sue origini, pochi lo sanno tranne gli studiosi di storia, con la vicenda politica del generale francese Boulanger, il primo politico a parlare direttamente al popolo parigino alla fine dell’800 e fondatore del populismo moderno. Il punto è che il populismo non è l’anticamera del potere al popolo, ma è la sottrazione al popolo di ogni facoltà ed apre le porte alla dittatura. Ma questi sono discorsi troppo complessi per un blog di food e di vino. Dico insomma che il marketing del Tavernello è geniale, ma allo stesso modo in cui gli avversari dicono che Salvini è bravo a comunicare.
Questo però dovrebbe far riflettere chi fa marketing del vino, scegliere a chi parlare, usare un linguaggio semplice ed efficace. Inventarsi nuove formule che all’orizzonte non si vedono.
3-I Tre Protagonisti
Anche i protagonisti sono selezionati con grande maestria. Non solo i degustatori che riflettono i diversi protototipi degli iscritti ai corsi Ais, ma i tre attori principali. Luca Gardini, Alessandro Pipero, Andrea Gori, piacciano o non piacciano, sono stati comunque grandi innovatori nel loro campo. Il primo ha rotto lo schema irrigidito del sommelier di sala, il secondo quello del maitre di sala, il terzo per primo e con grande anticipo rispetto ai colleghi ha capito l’importanza dei mezzi internet, tanto che agli albori della carriera, nel suo blog Vino Da Burde, si faceva chiamare Sommelier Informatico. Si tratta di tre grandi professionisti, competenti e punti di riferimento. Hanno molti nemici, ovviamente, ma solo chi non fa non ne ha.
Trovo questo spot insomma benefico perchè ha due scosse fondamentali contro i mantra medioevali che circolano in rete.
1-Se un prodotto è in commercio, vuol dire che ha i requisiti legali. In Italia si pensa ormai che tutto ciò che è industriale e grande sia il male, responsabile del male, produttore di menzogne. Sicché nelle reclame i grandi devono fingere di essere quello che non sono (citiamo per tutti il Mulino Bianco).
Io invece penso che grande e piccolo siano complementari, purchè il primo non imponga le proprie regole al secondo e il secondo non imponga la propria visione al primo. Entrambi da soli non potrebbero esistere.
Se il Tavernello esiste è perché ha il suo pubblico. Non tutti i libri parlano di Fenomenologia dello Spirito, ci sono anche quelli di Liala.
2-Deve spingere il mondo del vino a pensare a nuove forme di comunicazione. Siamo tutti ancora ipnotizzati dal metodo Parker e non riusciamo a pensare qualcosa di diverso. Forse è venuto il momento.
Il populismo è sempre una reazione a qualcosa che va male. Perciò, invece di demonizzarlo e disprezzarlo, sarà sempre meglio studiare i rimedi ai problemi che vive la gente prima che i suoi effetti devastanti (in Italia e in Germania ne sappiamo qualcosa) passino dalle parole alla realtà.
Io vedo questo spot come uno stimolo a darsi una scossa, e in ogni caso ha già raggiunto l’effetto principe dei social, diventare virale, dividere, essere al centro dell’attenzione.
Anche il Tignanello ha qualcosa da imparare dal Tavernello!
E lo deve fare per restare Tignanello.
Ps: Dobbiamo precisare però che la posizione di Andrea Gori dal punto di vista formale è diversa da quella di Alessandro Pipero e Luca Gardini: essendo iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal giugno 2011 elenco pubblicisti, è vincolato a non poter fare in alcun modo pubblicità commerciali. Teoricamente è dunque passibile provvedimenti disciplinari.
Un conseguenza già c’è stata: Daniele Cernilli ha annunciato la decisione di non considerarlo più tra i collaboratori della guida. Al telefono Daniele Cernilli ci dice: “Non ho nulla contro il Tavernello, per carità. Ma il punto è che chi scrive per una guida, al di là se sia o meno giornalista iscritto all’Ordine, non può in alcun modo fare pubblicità commerciale”.
Spot Tavernello
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