L’evoluzione del gusto è il risultato del passare del tempo (il nostro crescere e invecchiare) e dell’esperienza. Da bambini ci piacciono sapori precisi, amplificati e riconoscibili, poi da adulti spesso ci accorgiamo che in fondo siamo legati a certi piatti e a consuetudini soprattutto per nostalgia.
Capita con il vino, ma anche con il cibo.
Solo le persone molto essenziali mangiano la stessa cosa con gusto per tutta la vita senza cambiare idea. Anche le ricette che ci sono sempre piaciute, e che continuano a piacerci, in realtà cambiano. Per esempio lo spaghetto al pomodoro, la pizza, non sono certamente gli stessi di trent’anni fa, e forse neanche di dieci anni fa. Ma noi abbiamo sempre l’illusione di mangiare la stessa cosa, in realtà se riprovassimo certi pomodori, certe farine e certi oli dopo l’evoluzione degli artigiani di questi ultimi anni li rimanderemmo indietro.
In effetti l’unica cosa che non si cambia mai nella vita è la squadra del cuore, eccetto Emilio Fede (nome non omen), l’unico uomo della storia ad aver cambiato squadra del cuore.
Faccio questo discorso perché quando ho sentito l’annuncio di “tartufo e spigola” da Niko Romito un brivido mi ha carezzato la schiena: non può essere, ho pensato, che anche un cuoco cerebrale come Niko si adegui alla religione del tartufo bianco.
D’accordo, a chi non piace?
Personalmente non amo quando si aggiunge a un piatto perché vedo che, oltre i classici (uova e tajerin), il suo uso è quasi sempre greve, dominante, frutto della esigenza di convincere chi mangia e non della intrinseca necessità di esaltare il sapore del piatto.
Dicevamo del brivido. Quando poi però ho mangiato sono entrato nel mio nirvana gastronomico.
C’era il gioco cromatico del bianco sul bianco, quello della consistenza dal fondo del latte in cui erano state cotte le lische della spigola (branzino), al pesce sino al tartufo posato sopra. La bravura è stata centrare la sfoglia di tartufo e il taglio del pesce, due variabili infinite perché dipende molto dalla qualità del primo e dal mre in cui ha vissuto il secondo.
L’abilità di Niko è stata quella di usare il tartufo senza coprire il pesce, ma esaltandone invece la freschezza grazie ad una cottura perfetta che aveva nel cuore del boccone tutto il mare da cui è stato pescato. La salsa ha evitato l’effetto asciugante senza però trasformare il tutto in un brodetto.
Così in bocca non si sentiva il tartufo, ma la spigola esaltata dal tartufo e completata dalla salsa (riferimento, non so se voluto o casuale, a una famosa ricetta di Cavalcanti del pesce cotto nel latte). Insomma, usato come esaltatore di sapore e non, invece, protagonista.
Si raggiunge così l’equilibrio perfetto in cui la materia prima principe non è la stessa di partenza ma proprio in questo essere trasformata riafferma con maggiore precisione la propria identità grazie al bilanciamento dei diversi elementi.
Con questo piatto Niko Romito si conferma per me cuoco della purezza della materia, dovuta alla capacità di concentrasi sul cibo e non su chi lo deve mangiare.
Questo boccone da re, per la cronaca servito ad una temperatura tiepida perfetta, è stato abbinato al mio Trebbiano preferito del momento, il Vigna Capestrano 2007 di Valle Reale, davvero meraviglioso.
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