di Marco Galetti
Al termine della serata benefica, viene offerta l’opportunità di acquistare prodotti provenienti dalle zone terremotate, la colgo.
Nel pacco dono sono contenuti uno spicchio di pecorino, un pacco di spaghetti e, soprattutto, una confezione sottovuoto di guanciale, la strada verso uno dei piatti insostituibili della cucina italiana sembra spianata.
Le piccole buone azioni dovrebbero far dormire sonni tranquilli, ma invece di dormire tra due guanciali, ogni sera è la stessa cosa, penso al guanciale e faccio fatica ad addormentarmi, non vedo l’ora di togliere il fiocco a questo regalo ma nello stesso tempo sono bloccato per la paura di fare la scelta sbagliata, seguire la ricetta tradizionale, quella dei grandi cuochi, la rivisitazione degli innovatori o, peggio, le proposte dei fufblogger (by LP) che predicano bene e a casa loro razzolano con pancetta, pasta scadente e l’olio irrancidito al peperoncino inappropriato anche su una pizza tra universitari (quelli che hanno fretta di prendere il volo con destinazione Paradiso, artificiale, Ibiza, Baleari, per vacanze poco balneari).
Contaminata dal ricordo ancora vivo di una spaghettata in famiglia (quando, adolescente, qualcuno cucinava per me ed io pensavo l’avrebbe fatto all’infinito, come il suo amore nei miei confronti, così fuori dai canoni e forse anche per questo, prima incomprensibile e adesso insostituibile) scelgo la mia versione per due con la pasta e il guanciale in giuste dosi:
Trecento grammi di spaghetti di qualità, per un piatto unico di sostanza.
Trecento grammi di pomodori pelati di buon livello.
Cento grammi di guanciale, qualcosa in più rispetto alla ricetta tradizionale che prevede un rapporto con la pasta uno a quattro.
Cinquanta grammi di pecorino, qualcosa meno rispetto alla ricetta tradizionale
Un insostituibile e per me doveroso ricordo d’aceto.
Poco sale, poco olio e un peperoncino bello piccante.
Niente strutto e niente cipolla, anche se la versione con la cipolla, provata più volte non è da disprezzare, tutt’altro.
Una padella di ferro, o come nel mio caso di buon alluminio, insieme agli ingredienti elencati conducono al godimento.
Pochi gli accorgimenti, sostanzialmente relativi al taglio e alla cottura del guanciale, striscioline di un paio di centimetri, in ognuna la parte magra protetta ai lati dal grasso che sciogliendosi in bocca scioglie ogni tensione.
La difficoltà maggiore sta nel trovare il punto G, a metà strada tra rosolatura e bruciatura, fatto questo il godimento è assicurato.
Il guanciale, dopo una cottura a fuoco vivo in compagnia di un cucchiaio scarso d’olio, risulterà quasi croccante, a questo punto potrà essere tenuto da parte per essere aggiunto alla fine, oppure come preferisco, spruzzato e sgrassato con l’aceto, sarà pronto per ricevere il peperoncino e i pelati, ormai in attesa spasmodica, desiderosi di essere cotti in modo abbastanza deciso e regolati di sale, pochissimo.
Saltare gli spaghetti al dente nella padella del sugo per trenta secondi, spolverare di pecorino e amalgamare, il primo che arriva alla pentola potrebbe non avere la forza interiore di resistere almeno il tempo di scattare una foto.
Facoltativa, per quel che mi riguarda, l’aggiunta ulteriore di pecorino su questo piatto da principi eppure così popolare.
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