Novità serie e di rilievo nella pizzeria Sorbillo: da un lato il locale si amplia sull’angolo, con una cantina dove si potranno organizzare mostre. Dall’altro Gino è tornato nell’appartamento dove ha mosso i primi passi per crearsi uno spazio proprio nel quale realizzare sperimentazioni, ricevere amici, vivere una dimensione più tecnica staccata dal contesto della pizzeria.
Ci siamo capitati di mattina trattenendoci un paio d’ore insieme a Marcelle Padovani, corrispondente dall’Italia per Nouvel Observateur, grande esperta del nostro Paese su cui ha scritto numerosi libri e dove vive da ormai da trent’anni.
Marcelle non si occupa di gastronomia, i suoi articoli e le sue pubblicazioni riguardano soprattutto la politica e la mafia, seguì tra le altre cose il lavoro di Giovanni Falcone.
Però ha voluto entrare dentro Napoli, che conosce benissimo, da una chiave scontata eppure diversa: la pizza attraverso la figura di Gino Sorbillo. ” Fai bene Marcelle – le dico scherzando – non si entra nella testa della gente senza passare prima dalla loro pancia”. Una rivisitazione del vecchio e stracitato motto di Feuerbach:-)
Gino in fondo è la Napoli che riesce sempre a risorgere dalle sue ceneri. Un vitalismo senza fine delineato, la necessità della rappresentazione come essenza stessa della vita.
Gino ci parla del colossale sforzo di ricostruzione della memoria realizzato per la prima volta da un pizzajuolo, un mestiere condannato a vivere giorno per giorno e che solo in questi anni sta venendo alla luce in modo diverso.
Anche se, dice Salvatore Sorbillo, il papà di Gino, quando lui era giovane bastava venire da Napoli per essere pagati meglio.
Gino recupera porte, lampioni da strada, vecchie insegne pubblicitarie, articoli e foto di giornali. Li mostra a Marcelle, è il suo vissuto che non riesce a diventare ancora storia perché adesso si comincia a scrivere di pizza e pizzajuoli.
Ci porta nel locale dove ha iniziato la sua famiglia, la porta bassa con il lavabo, il forno messo negli anni ’90.
Marcelle lo ascolta, gli piace lo spirito napoletano, trova la vita che scorre. E si diverte quando Gino, supportato da me, fa spostare una scala per evitare di passarci sotto. In fondo bisogna anche ricordarsi che quando andremo via non avremo avuto spiegazioni razionali della maggior parte delle cose viste e vissute. Nel frattempo, meglio rispettarle:-)
La pizzeria al primo piano funziona. Forse in settimana riapre anche il primo. Alle 12 il primo turno lo fanno i turisti stranieri, poi resterà aperta sino alle 16. Una delle cose belle di Napoli e delle grandi città: poter mangiare a tutte le ore.
In fondo il Nord inizia dove c’è un orario di chiusura delle cucine e dei forni.
Il fuoco ha lasciato una traccia spiriturale misteriosa, in questo limbo animisticom in cui si naviga potrebbe avere un significato speciale, oppure non averlo proprio. Non saremo certo noi a decidere.
Mi è piaciuto tornare da Gino con occhi da visitatore, la consuetudine spesso anestetizza la sensibilità mentre il segreto di questo lavoro è non perderla mai grazie alla curiosità.
Gino è un cantiere aperto, la sua spinta vitalistica è inesauribile. Come l’anima di questa straordinaria città.
Perciò la sua pizza è così buona, è la metafora irripetibile della vita.
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