di Sara Marte
Che il fiano di Avellino abbia tutte le carte in regola per essere bianco longevo ed elegante non è certo constatazione nuova, altra cosa è toccarlo con mano. La verticale di Fiano di Avellino-Villa Raiano di Slow Wine Campania ci ha regalato grandi bicchieri ed una visione del territorio attraverso il vino che ben si fonde con lo stile aziendale. Paolo Sibillo e l’attento e sensibile enologo Fortunato Sebastiano ci accompagnano nella storia aziendale. Qui, a San Michele di Serino, dove ha sede l’azienda, è d’obbligo un’occhiata alla cantina. Imponente e curata in ogni dettaglio.
Subito la degustazione richiama ai bicchieri per un viaggio che, con stili e sfumature diverse, parla di grandissimo mestiere e territorio.
Partiamo dalla 2001: Parliamo ancora di DOC. Di queste bottiglie se ne producevano circa 4.800. Qui l’enologo era Luigi Moio che rimarrà a Villa Raiano fino ad una parte del 2009. Gli appunti aziendali descrivono l’annata come “irregolare”molto calda e “poco produttiva”. Il bicchiere è un vero spettacolo. Fitto e luminoso si muove consistente. E’ pulito, integro, senza sbavature del tempo, grandissima materia, bocca opulenta ma ben riequilibrata da una spiccata sapidità. L’equilibrio il suo grandissimo pregio. Uno dei preferiti.
Fiano di Avellino 2002: Sempre DOC e non ancora DOCG, la 2002 ha la sfortuna di trovarsi di fianco ad una 2001 talmente buona e gagliarda che ne risente fortemente. Più carico alla vista del precedente è un vino caldo che si propone meno fresco. La sapidità è comunque presente e riesce a dire la sua. Al naso ha cera d’api, frutta candita ed ancora termina abbastanza lungo. E’ chiaro che, così come si ricorda in sala, questi non sono vini nati con l’obiettivo di durare nel tempo. Da quest’annata, non certo facile, notiamo poi il salto produttivo dell’azienda che passa a 18.000 bottiglie.
Fiano di Avellino 2005: Entrati ormai nella DOCG abbiamo un bicchiere caldo e materico che è carico alla vista, al naso e al palato. Le erbette aromatiche ed i toni vegetali si fondono a sfumature di cenere e come ci fa notare l’enologo, sentori di finocchietto e toni balsamici. Tutto è inserito in un insieme dall’animo cupo che però spiana la strada al carattere che verrà nell’annata a seguire. Bicchiere da capire, molto intrigante e ciccione.
Fiano di Avellino 2006: Ecco che, ciò che prima, un po’ compresso, si percepiva ora esplode con maggiore disinvoltura in questo bicchiere che ha toni boisè, sentori di menta e vegetali freschi. Una beva certamente più estroversa e slanciata della precedente che, ricco come la 2005, si sviluppa con una spinta in progressione che ne facilita la beva.
Da qui in poi i vini prendono tutt’altra strada così ci troviamo di fronte ad una dicotomia in cui struttura grassa e opulenta si reinventa in vini sì dalla bella materia ma con uno scheletro più scattante, agile, dritto e moderno. Come, eloquentemente riassume Luciano Pignataro “ per la serie: come passare dalla posizione orizzontale a quella verticale”. Cos’altro aggiungere?!
Fiano di Avellino 2007: Bel naso erbaceo e verticale, maschio, intenso, minerale , con toni lievemente boisè, ha una grande bocca calda, fresca, sapidissima e intensa. Termina lungo e parla di grande equilibrio . Personalmente uno dei tre bicchieri favoriti. Ottimo. L’annata ha certamente inciso su questo vino, in più, come ci spiega Paolo Sibillo, decidono di non fare più malolattica come invece avveniva per le precedenti. La definisce una “scelta emotiva” affinché i vini rappresentassero l’ideale di fiano che sentivano più vicino.
Fiano di Avellino 2008: splendido colore luminosissimo è anche qui bicchiere di buona agilità, freschezza e temperamento verticale. Bello dritto dritto al naso e palato. Qui entra in gioco un elemento che, come spiega Fortunato Sebastiano, certamente fa la differenza. Il vino è vinificato con uve che non provengono più dalla sola Candia, Montefredane e Summonte come avveniva per le precedenti, ma si aggiungono due vigne a Lapio.
Fiano di Avellino 2009: Ricordiamo che a cavallo di quest’annata avviene il cambio di enologo fra Luigi Moio e Fortunato Sebastiano. Il vino sa esprimere grande giovinezza, ha note agrumate come quella del cedro cui si aggiungono toni di anice stellato . La bocca ha bella sapidità e risulta di buona freschezza. Termina lungo e lievemente ammandorlato. Da qui i vini cominceranno a sostare sulle fecce.
Fiano di Avellino 2010: Fermi tutti! Questo è uno spettacolo! Tutto ben fuso ha verve giovanile di frutta , erbette, fiorellini di campo, pietra focaia, pera . Al palato ha sapidità travolgente, grande acidità, struttura che , sorso dopo sorso, invita a goderne con puro piacere. Centrato e tipico. Ha tutto quello che cercate e così, con un po’ d’azzardo, sono pronta a scommettere sulla sua lunghissima vita.
Fiano di Avellino 2011: “Infanticidio!” avrebbe gridato un caro maestro del vino! Certo non si è ancora aperto ed ha bisogno di tempo per lasciarsi scoprire. Mettendo da parte disquisizioni varie sui profumi, bisogna dire che certe cose o ci sono o non ci sono: corpo, materia, struttura, infinita sapidità, una lama chiamata acidità , verticalità qui le troviamo tutte. La sua grandezza sta nella prospettiva che poggia su queste basi. Lo aspetteremo.
Ancora una splendida verticale che regala un altro mattone alla casa della memoria storica dell’Irpinia del vino ed alle sue eccellenze.
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