“INSIEME PER UNA CUCINA ETICA ED ESTETICA”
In un servizio presentato in una nota trasmissione televisiva, il giornalista Jorg Zipprich, ha sostenuto che: “Molti chef stanno usando sempre più additivi chimici, sia per motivi economici, perché puoi mettere molto meno cibo nel piatto (12 grammi di pesce con additivi chimici possono sembrare una normale razione da 120 grammi), sia perché credono di essere molto creativi con l’ausilio di nuove formule e sapori e così via”. Per Zipprich, tutto ciò forse è legale ma non è onesto, non c’è informazione sull’uso degli additivi chimici che invece è obbligatoria nei prodotti dei supermercati. In sintesi: ADDIO ETICA, SOLO ESTETICA, come recitava lo slogan riportato sulla maglietta indossata da Zipprich.
Il tema sollevato è di quelli che Slow Food considera fondanti per il recupero di un rapporto corretto con il cibo: la necessità di una cucina che sia insieme etica ed estetica, quello che Slow Food propone quando si batte, secondo la felice definizione di Carlo Petrini, per un cibo BUONO, PULITO E GIUSTO.
Per Slow Food il piacere del cibo è un diritto e l’estetica nel cibo (che abbraccia un giudizio da parte di tutti e cinque i sensi) è la base per il conseguimento del piacere. Ma non può essere l’unico: la conoscenza che ci danno i sensi non solo è soggettiva ma è anche di tipo congetturale.
Fino a 10.000 anni fa, quando si affermò l’agricoltura e la cucina del cotto, i sensi erano la guida per decidere cosa in natura poteva essere mangiato ed il cibo era molto poco manipolato dall’uomo. Da allora il cibo è sempre più stato elaborato e manipolato dall’uomo, utilizzando conoscenze e tecniche che si sono accumulate nei millenni, manipolando in molti modi i prodotti della natura al fine di renderli appetibili e desiderabili, per superare ogni giorno l’esame dei sensi, alla ricerca del giudizio finale: “è buono”.
In questo passaggio è contenuta in nuce la possibilità che i sensi possano essere “ingannati” da chi cucina, sia esso uno grande chef, una rezdora o la moderna industria alimentare e l’inganno può assumere le forme e le modalità più svariate, non essere facilmente individuabile e prestarsi ai più diversi fini.
Non è sufficiente l’estetica: ci vuole l’etica. Anzi, l’estetica senza etica non è veramente estetica, perché i sensi (cioè l’estetica) possono essere fonte di apprezzamento e piacere solo se ad essi è permesso di funzionare in modo armonico, in rapporto con quanto essi vedono, sentono, toccano, annusano, gustano. Oggi non a caso si parla di “sensorialità sostenibile”: l’estetica e l’etica sono una cosa sola. Se non si ha un atteggiamento etico, cioè attento, rispettoso, verso ciò che è al di fuori di noi, non possiamo sviluppare nessun senso del bello e del buono. Tutto rimane vuoto di significato, e quindi brutto.
Ecco che il tema dell’etica non può ridursi ad una battaglia – pur giusta, se condotta con rigore e documentazione – contro le sofisticazioni alimentari e non può essere la negazione di tutte le innovazioni, anche linguistiche, in nome delle tradizioni e della naturalità: non avremmo avuto alcun prodotto dell’agricoltura, né il pomodoro, la patata, la zucca e quant’altro è stato importato dall’America. L’etica sta nelle intenzioni di chi cucina e nel rapporto di fiducia e di lealtà che deve instaurarsi fra chi cucina e chi consuma, un rapporto che nei secoli è sempre stato alimentato da un’educazione e cultura del cibo – comune a chi lavorava nei campi e chi in cucina – che integrava la conoscenza sensoriale con quella della cultura materiale: da come si coltivavano le materie prime a come si cucinavano i piatti.
Ma anche nel rapporto di attenzione e rispetto tra chi cucina e la materia che utilizza. E’ in questo duplice rapporto – nella cultura contadina delle nostre tradizioni e nei tanti sistemi agricoli locali che ancora oggi caratterizzano il nostro pianeta, e che bisogna difendere – che si è sviluppata allo stesso tempo una cucina etica ed estetica, dove il diritto al buon cibo non è in contrasto con i diritti della terra (alla conservazione della fertilità dei suoli, della biodiversità animale e vegetale e così via) e con i diritti di chi la lavora e produce il cibo.
Massimo Bottura è sempre stato a fianco delle battaglie di Slow Food: non a caso è un cuoco della rete di Terra Madre, creata da Slow Food per legare i cuochi del mondo alle comunità di contadini, pastori, pescatori di tutti gli angoli del pianeta. Non a caso, quando Slow Food Italia ha realizzato a Modena la ricerca “Storie di Terra e di Rezdore”, in collaborazione con la Provincia di Modena, che ha portato al recupero dei saper fare e dei prodotti della cultura contadina modenese, attraverso le testimonianze filmate di centinaia di anziani, Bottura è stato inserito nel Comitato Scientifico della ricerca, cui ha contribuito attivamente anche attraverso la realizzazione di una straordinaria intervista con Lidia Cristoni, la rezdora di Nonantola da cui ha imparato a fare la sfoglia. Non c’è materia prima, ricetta, saper fare della cucina modenese che non sia passata al vaglio delle sue elaborazioni culinarie, sempre basate su una ricerca approfondita della qualità, naturalità, freschezza degli ingredienti, del rapporto diretto con i contadini che li producono, degli odori, sapori e della memoria gustativa del passato di questa terra, anche nei piatti contraddistinti dal maggior estro creativo.
Nel servizio televisivo che è stato citato, alcuni suoi piatti sono stati oggetto di stroncature basate sulla loro apparenza e sulla presunzione che quelle apparenze fossero state ottenute appunto con l’uso di additivi chimici o chissà quali altri intrugli. Un giudizio sommario, dato senza capire che spesso sta proprio lì, nella stranezza delle apparenze, la forza della critica che Massimo Bottura rivolge al mondo dell’omologazione dei sapori e alla dittatura dell’immagine visiva fine a se stessa: quello fatto di stupende mele rosse che non sanno di niente e che chissà quanti residui chimici contengono. La cucina di Massimo, attraverso ambiguità e paradossi otten
uti scegliendo e lavorando gli ingredienti in modo diverso da quello a cui siamo abituati, ci costringe piatto dopo piatto, boccone dopo boccone, a riconsiderare il nostro rapporto con il cibo, soprattutto con quello che ci è più familiare. Spesso i suoi piatti sono, alla vista, composizioni artistiche che non lasciano trapelare l’identità degli ingredienti, in bocca giochi altrettanto affascinanti fra consistenze e temperature diverse, accostamenti di profumi e sapori, che tuttavia alla fine lasciano indizi sufficienti per trovare nella nostra memoria gustativa i ricordi della pietanza che vogliono evocare, facendocela “vedere e sentire” in un modo nuovo, come in piatti come “il parmigiano reggiano in cinque consistenze e cinque temperature”, “il bollito non bollito”, “il ricordo della zuppa inglese”. Ma finita la degustazione, Massimo e suoi collaboratori sono lì disponibili, e la cucina è sempre aperta, per scoprire e capire come ha fatto, cosa ha usato, dove si è procurato ogni ingrediente, come li ha lavorati e perché: è questa la sua testimonianza di cucina etica ed estetica, perché è una cucina che si basa su conoscenza, ricerca, esperienza vissuta, grande savoir-faire e capacità tecnica, rispetto della materia prima e volontà di suscitare emozioni.
Per questo Slow Food Modena ha invitato Massimo Bottura ad organizzare insieme un evento dedicato alla cucina etica ed estetica la sera del 27 maggio presso il Ristorante La Francescana, nel corso del quale è stata indossata una maglietta con la citazione del filosofo Ludwig Wittgenstein: “ETICA ED ESTETICA SONO UNA COSA SOLA”.
Hanno aderito al manifesto Slow Food: Marco Bolasco di Gambero Rosso, Enzo Vizzari direttore della Guida ai Ristoranti dell’Espresso, Bruno Gambacorta di Eat Parade, Davide Paolini del Gastronauta, Luigi Cremona di Spirito DiVino, Paolo Marchi de Il Giornale, Stefano Bonilli, Luciano Pignataro de Il Mattino, Luca Marchini di Modena a Tavola e Igles corelli di Chef to Chef.
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