Sono un grande estimatore di Simona Natale: in primo luogo perché, inutile nasconderlo, per una donna in Italia, e soprattutto al Sud, è sempre difficile disegnare il proprio percorso. Non è facile andare andre contro il desiderio di un padre che la voleva avvocato. Poi perché ha un carattere forte, diretto, un modo personale per esprimere una femminilità coinvolgente e da rispettare. Infine perchè lei e Gianfranco Fino hanno creato quello che io definisco un vino evento, uonissimo, a cavallo tra l’era del cartaceo e quella del web mettendo d’accordo i due mondi. Una figura esemplare, come tante viticultrici ed enologhe che hanno fatto grande il mondo del vino facendolo lievitare sulla complessità e il senso pratico che manca al pensiero di noi uomini. Rilanciamo perciò il bellissimo racconto uscito dalla penna di Monica Caradonna pubblicato sul numero di Cucina a Sud dedicato alle donne.
Buona lettura.
l.pigna.
di Monica Caradonna
Attraversa il mondo per 220 giorni l’anno. Apparentemente aggressiva e dal carattere duro. Una sera, qualche anno fa, ha messo al muro un uomo che si è permesso di offendere suo marito Gianfranco. “Sì, perché io posso asfaltarlo, ma che nessuno si azzardi a toccare mio marito”. È Simona Natale, dinamica e poliedrica immagine della Gianfranco Fino viticoltore, quasi cinquant’anni, una passione per i suoi Labrador e un cruccio che ha trasformato in un progetto d’amore.
“Non sono madre. Mi manca tantissimo. Non mi è stato possibile esserlo. Quando ho capito di essere davvero innamorata di mio marito eravamo giovani, eravamo due consulenti che portavano a casa uno stipendio medio borghese. Lui da poco orfano di madre e io a combattere con la grave malattia della mia. Eravamo soli, con non troppi soldi, ma con un sogno da condividere. Ho scelto di essere il supporto alle idee e alle sfide di Gianfranco e non potevo permettermi di diventare madre. Oggi ho il vezzo di essere la zia dei figli di tanti amici produttori. E un figlio, forse, ce l’ho anch’io. Perché l’amore materno non è fatto solo di quotidianità, di palestre e di compiti, ma lo si può declinare nel senso di responsabilità e impegno. E per me si chiama San Patrignano”.
È stato circa vent’anni fa che Simona ha compreso che il filo – talvolta spinato e fatto di discussioni anche in pubblico – che la legava a Gianfranco sarebbe stato un filo indissolubile, declinato in una storia fatta d’amore, di vino, di viaggi, di rinunce e di un sogno che nei prossimi mesi prenderà finalmente forma, la loro cantina nel cuore della terra del Primitivo di Manduria
“Forse ho compreso la profondità del nostro amore solo dopo il matrimonio”. Gianfranco era un oleologo, era al fianco del compianto Gino Veronelli, baluardo etico dei contadini e dei viticoltori, e si divideva in consulenze come agronomo. “Se Veronelli non fosse morto in quel preciso momento storico, forse, chissà, Gianfranco avrebbe continuato a occuparsi di olio con lui”. E invece la storia segna un cambio di passo. “È all’epoca che Gianfranco mi ha chiesto di fare una scelta. Mi disse – continua Simona – io ho un sogno, dobbiamo fare un mutuo importante, per molti anni non vedremo neanche un centesimo. Te la senti? E io gli risposi: vai, io ti copro le spalle”. Sancito a sangue e amore un patto di vita. In quel preciso istante Simona e Gianfranco Fino rinnovano davanti a Dio e nella memoria di Veronelli le loro promesse nunziali, la loro scelta consapevole di correre insieme verso il sogno nonostante i tanti rischi. In quel preciso momento hanno capito di essersi scelti a prescindere dalle differenze caratteriali e dai mondi così diversi da cui provenivano.
“Ho fatto un passo indietro, ma in sostanza ho vissuto della sintesi del nostro amore. Siamo due caratteri che si mescolano e uno dei due deve cedere per forza altrimenti è troppo semplice entrare in collisione”.
Simona, una laurea in giurisprudenza a Bologna, avvocato e consulente di un’azienda privata, prima figlia del dottor Natale poi moglie di Gianfranco Fino. Sembra incredibile pensare quanta devozione possa esserci in una donna che sceglie di essere sostegno degli uomini della sua vita. E quando è nato il loro Metodo Classico, che il marito le ha dedicato chiamandolo “Simona”, lei ha voluto che ci fosse anche un tributo al padre, per ricordare a se stessa, prima di tutto, i valori sui quali si è sempre formata. Ed è nato, così, il “Simona Natale” il loro Negroamaro rosè che del tempo ha fatto e fa il suo punto di forza.
Quando la sua vita è passata dall’essere dipendente a titolare dell’immagine del vino per quattro volte migliore d’Italia secondo la classifica redatta da Gentleman di Milano Finanza, non ha fatto in tempo a condividere questo passaggio professionale con sua madre. “Era già troppo malata” ricorda. “Uscivamo da una distribuzione nazionale. O ci bloccavamo, poiché non avevamo la forza di farci seguire da un’altra distribuzione, oppure io dovevo mettere in stand-by il mio lavoro e dedicarmi all’azienda, iniziando a girare per lasciare a Gianfranco la serenità di seguire la parte produttiva”. Ed è iniziata una vita fatta di viaggi, valigie da riempire, sorrisi da dispensare, alberghi in cui provare a sentirsi a casa, facendo i conti talvolta con la solitudine altre volte con la paura. Notti da condividere con le amiche che spesso sono famiglia allargata nel mondo del vino. Quella che lei ama definire “la mia tribù” con la quale condividere club sandwich in giro per il mondo consumati con le amiche e colleghe che vivono la stessa condizione. “Con Angela Velenosi o Giovanna Prandini, ma anche con Tiziana Mori e tante altre donne impegnate come me in giro per il mondo condividiamo una passione e insieme è difficile provare il senso di distacco dalla famiglia o quella malinconica lontananza da casa”.
Suo padre, però, non ha mai compreso appieno la sua scelta. “Ho fatto una figlia avvocato e me la ritrovo agricola” ripeteva spesso il dottor Natale. “I miei viaggi in giro per il mondo non erano compatibili con la sua idea di donna e moglie. Siamo troppo spesso racchiuse in stereotipi, ma in fin dei conti siamo donne che lavorano e che ogni giorno fanno scelte importanti. Una volta mentre ero a New York per lavoro mi ha tenuta per quaranta minuti al telefono per parlarmi delle sue cose. Un conto di quattrocento euro, ma in quel momento ero semplicemente Simona e non la moglie del miglior viticoltore dell’anno che stava presentando i suoi vini. Forse l’unico a comprendere la portata delle mie scelte è stato mio nipote Andrea che pur vivendo lontano ha sempre vissuto con orgoglio i nostri successi e le nostre fatiche”.
Oggi, dopo vent’anni, la Gianfranco Fino viticoltore è emblema di Sud e di Italia nel mondo. Oggi a distanza di tutti questi anni prende forma la loro cantina. A Manduria, dove altrimenti? Una struttura che ha la poetica della pietra bianca della Puglia e la mistica di una cattedrale, lì dove il sogno sta per diventare realtà, si sta per chiudere un cerchio di vita. Ci sono i vigneti. Ci sono i maestosi alberi di ulivo. Ci sono i sacrifici e le paure di due ragazzi con la passione per il vino che si rifugiano nel mare quando hanno bisogno di riconciliare testa e cuore. Ed è lì che troverà posto una leonessa che si prenderà cura del proprio cucciolo.
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