di Luciano Pignataro
Metà anni ’80, la fotografa professionista Silvia Imparato frequenta un cenacolo di giovani appassionati di vino che si riuniscono presso l’enoteca Roffi Isabelli a Via della Croce a Roma, poco distante da Piazza di Spagna e Trinità dei Monti. Del gruppo fanno parte, oltre a Silvia, Daniele Cernilli, Luca Maroni, Renzo Cotarella, Remy Krug e tanti altri personaggi della spensierata nouvelle vague capitolina. Tra i tanti argomenti di carattere culturale che vengono trattati, si beve e si parla anche di vino e Silvia timidamente accenna ad una sua proprietà di famiglia nella campagna tra i Colli Salernitani, dove vorrebbe sperimentare una piccola produzione di vino, anche se qui non è mai esistito un background vitivinicolo di qualità. Chiede a Renzo Cotarella, già affermato enologo, se la può seguire in questa sua avventura, almeno per capire se vale la pena di continuare a cullare qualche flebile speranza. Renzo ne parla al fratello Riccardo che visita il posto e suggerisce a Silvia come operare in quel territorio ancora vergine, cominciando ad impiantare specie varietali internazionali come il cabernet sauvignon ed il merlot, lasciando i pochi filari di aglianico.
Ecco, di lì a poco sarebbe nato il mito del Montevetrano (vino ed azienda che prendono spunto dall’omonimo castello costruito su una collina che domina la proprietà), uno dei migliori vini al mondo! La prima vendemmia nel 1991 con poche bottiglie da regalare ad amici e parenti e nel 1993 fu deciso di commercializzarle con esiti stupefacenti. Subito arrivarono premi e riconoscimenti da tutta l’Italia e dall’estero con un successo esponenziale senza fine, che a distanza di oltre vent’anni per fortuna non conosce soste .
Già, perché per definire classico qualcosa o qualcuno bisogna aspettare che passino le mode. Il vino di Silvia nacque in un momento in cui c’era molta attenzione allo stile do Bordeaux e molti in Italia puntavano sulle uve internazionali. Nacque il fenomeno Bolgheri e un po’ ovunque si cercò di inseguire questa tendenza. Le cose andarono diversamente per due motivi: il primo è che i grandi vini di qualità italiani, già rinomati, come Barolo, Amarone e Brunello, erano ottenuti da uve autoctone. Il secondo è che lo sviluppo del Sud è fondato proprio sulla sua incredibile biodiversità.
Nonostante questo il Montevetrano ha attraversato indenne e sempre con forza il ritorno dei vitigni autoctoni, la crisi di mercato iniziata con le Torri Gemelle e culminata con il fallimento della Lehman Brothers, la dissoluzione della critica su internet, l’arrivo dei vini naturali, la passione per la Borgogna e l’abbandono di Bordeaux tra gli appassionati italiani.
Il motivo è molto semplice: il Montevetrano è davvero un grande vino, quello di cui forse, insieme al Terra di Lavoro, va più orgoglioso Riccardo Cotarella. La cura dei dettagli, la grande capacità di comunicatrice e di imprenditrice di Silvia, lo staff eccezionale che è diventato nel corso degli anni una famiglia, fanno di questo vino alle porte di Salerno un cult, qualcosa da cui non si può prescindere. Un vino che ha cambiato la percezione dei rossi al Sud perché, sembra incredibile, prima si pensava che sotto Firenze non fosse possibile fare grandi vini. Perciò il Montevetrano è diventato una leggenda che alla fine anche la provincia ha adottato. Già perché i meccanismi della provincia meridionale sono semplici: per dimostrare di non essere provinciali si nasconde quel che si ha. Ma questo per fortuna resiste solo nei bar per fighetti mentre oggi chiunque abbia vera cultura del vino esibisce subito i vini della provincia in cui lavora, poi quelli della regione e infine tutti gli altri.
Insomma, dopo il primo quarto di secolo, il Montevetrano vola dritto verso i 50 anni.
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