di Alma Torretta
Non c’è solo il Baglio Florio di Marsala ma, dimenticato oggi dai più, un altro Baglio è stato costruito da Ignazio senior nel 1875 vicino Alcamo, quando il successo del vino marsala ha portato la faliglia d’imprenditori ad estendere la loro area di approvvigionamento in uve. Poi nel 1931, quando la famiglia Florio era oramai in rovina e ha venduto tutto quello che possedeva per coprire i debiti, il Baglio di Alcamo venne acquistato da una famiglia locale, gli Adamo, che ha continuato a svolgervi alcune l’attività produttive fino ai primi anni ’90.
Ma qualche anno fa un erede, Vincenzo Adamo, insieme a sua moglie Liliana, hanno cominciato a fare accoglienza, sopratutto di stranieri, in una parte che hanno ristrutturato del grande baglio in abbandono organizzandovi degustazioni di vino, lezioni di cucina e, da ultimo, da quest’anno, sono a disposizione alcune stanze per chi vuole pure soggiornarvi.
Una visita speciale è stata organizzata per la stampa partecipante alla seconda edizione della Sicilian Wine Week, manifestazione promossa dall’Enoteca Regionale della Sicilia Occidentale, insieme al Comune di Alcamo e e all’Assessorato all’Agricoltura della Regione Siciliana, ed è stat per tutti una interessante scoperta. Il Baglio Florio Adamo è ricordato anche nel libro “L’inverno dei leoni”, seguito di quel “I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci che ha avuto talmente successo tanto da diventare recentemente anche una serie tv.
Se il Baglio Florio di Marsala, inaugurato nel 1833 davanti al mare, era il punto di partenza del vino per i mercati, il Baglio di Alcamo invece doveva servire per le prime fasi della produzione ed è stato costruito nelle campagne vicino alla ferrovia: qui arrivavano le uve, in grandi caldere si produceva il mosto cotto e con un alambicco, l’unico della zona, l’alcol per la fortificazione, poi il vino si inviava a Marsala tramite strada ferrata per il lungo affinamento finale e la commercializzazione.
Arrivando al Baglio Florio Adamo la prima cosa che colpisce è lo snodo ferroviario, proprio davanti il grande ingresso sormontato dal simbolo dei Florio, il Leo Bibens, il leone febbricitante che beve dell’acqua che scorre sotto alcune piante di china da cui si estrae quell’antipiretico, il chinino, che era alla base della fortuna della famiglia Florio.
Il Baglio Florio Adamo è grande 100 metri quadri e un binario vi entra all’interno in modo che i vagoni, spinti a mano, potessero essere caricati direttamente nel magazzino. A questo scopo vi sono anche nel magazzino delle grandi piastre rotanti che servivano a girare i vagoni e per farlo ci volevano sei persone. La piastra rotante davanti all’ingresso del Baglio porta una data, 1889, e il marchio di fabbrica della fonderia Oretea di Palermo che era pure di proprietà dei Florio. Dall’altra parte dei binari c’è la vecchia stazione di Alcamo, che è la cittadina più vicina, anche se il Baglio Florio Adamo, in contrada Vivignato, ricade nell’odierno comune di Calatafimi-Segesta. La linea ferroviaria, inaugurata nel 1881, congiungeva Palermo con Trapani ma non era stata costruita per i viaggiatori ma per le merci, e quindi faceva un lungo giro per il trapanese passando anche per Alcamo, Marsala e Mazara del Vallo, dove caricava pesce destinato a Palermo, in tutto dieci ore di tragitto. Solo durante il fascismo si costruirà una linea diretta Palermo-Trapani veloce per i viaggiatori.
Anche le snelle colonne portanti in ghisa del Baglio Florio Adamo provengono dalla Fonderia Orotea e si dice che l’edificio sia stato disegnato dal grande architetto Giuseppe Damiani Almeyda il progettista, tra l’altro, del Villino Florio a Favignana. Una storia tutta ancora da ricostruire, un esempio unico di archeologia industriale nelle campagne siciliane, oltretutto che l’abbandono ha mantenuto nel tempo nella forma originaria e che non ha subito i danni dei bombardamenti che hanno colpito invece il Baglio Florio di Marsala poi ricostruito nelle parti danneggiate nel secondo dopoguerra.
Già nell’Ottocento la zona di Alcamo era coltivata sopratutto a uva Catarratto, i Florio si assicuravano la produzione dei vignaioli locali pagando loro un’anticipazione del raccolto e all’interno dello stabilimento iniziavano la produzione del vino marsala. Lo stesso faranno gli Adamo dopo che i fratelli Antonino e Vincenzo acquisteranno nel 1931 lo stabilimento dalla “Società Anonima Vinicola Italiana Florio-Ingham-Withaker-Woodhouse”, un nome di società che è un compendio della storia del marsala e rivela come i Florio erano riusciti a fagocitare tutti i precedenti produttori. A differenza dei Florio però che erano solo trasformatori, la casa vincola “F. lli Adamo” aveva anche terreni di proprietà, in contrada Pergole, coltivati a uve catarratto, grillo, perricone e nero d’avola e hanno continuato a produrre marsala ma anche vino Bianco d’Alcamo e vermouth. Gli Adamo affittavano i vagoni alle ferrovie, ma erano anche proprietari di alcuni mezzi, poi venduti in Svizzera. Purtroppo infatti, quasi tutto quello che c’era all’interno del baglio è stato nel tempo venduto, oggi si possono ammirare ancora alcuni macchinari d’epoca, ma non sono quelli originali dei Florio perché acquistati dopo. Infine nel 1992 è cessata del tutto l’attività nel Baglio, anche a causa di dissidi tra i tanti eredi tra cui non c’era una netta spartizione delle quote. Soltanto nel 2016, dopo una lunga battaglia legale, Vincenzo Adamo è riuscito ad entrare in possesso della sua parte ed il Baglio sta ricominciando a vivere.
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