di Ugo Marchionne
Berkeley Square House,
Berkeley Square W1J 6BR,
London
+44 20 3764 2000
London, The Empire. Cosa c’è da aspettarsi da un ristorante da 50 milioni di sterline?”, questa è la domanda che mi sono posto prima di cenare al Sexy Fish di Londra, nel pieno centro di Mayfair, a Berkeley Square. Investimento ad opera di un gruppo della finanza londinese il quale ha proprio a Canary Wharf i suoi headquarters. Luci di Frank Gehry e opere di Damien Hirst per il japanese restaurant più luxury and cool del momento, tutto giocato su un tema burlesque con sirene e creature marine in ogni dove. Una sala privata per gli eventi più esclusivi, la Coral Reef Room e addirittura un proprio magazine: The Fish Tales. Insomma, tanto sfarzo e tanta ostentazione sono le caratteristiche principali di un ristorante che vuole evocare la grandeur di mezzo secolo anche grazie alle sue due enormi vasche acquario che riproducono dal vivo un perfetto ecosistema della barriera corallina del pacifico. All’ ingresso troneggia un’enorme scultura glitter di un pesce rosso marcatamente femminile, pienamente in linea con il nome del ristorante che ahimè di giapponese ha veramente poco.
Interno maestoso, con un enorme bancone bar, fornito della più grande e completa collezione di distillati giapponesi al mondo. Si stagliano in ogni dove figure di sirene, delfini, coccodrilli e pesci di ogni forma, a ricordare il regno di Nettuno, vestito però di rosso e d’oro.
Dopo essermi fatto un altro giro per la sala però ed aver visitato con un pò più di attenzione gli ambienti, devo dire che il colpo d’occhio è davvero di effetto. Sarò un po’ faceto questo lo si può obiettare, ma l’esser circondati dal lusso più sfrenato a volte non è completamente disdicevole, anche se al Sexy Fish si è completamente perso il senso della misura e della sobrietà. Teatrale in ogni caso la sirena nera che sorveglia il coffee bar.
Ligne de table impressionante. Pietra, legno, metallo e marmo nero. Mi ripeto, impressionante. Se il richiamo è quello agli accenti esotici decisamente pan-asiatici devo ammettere che è azzeccatissimo. La qualità delle materie usate è di grande livello, cagionato da un così grande investimento. Addirittura le hachi non sono di legno ma di bambù tornito e la cutlery, le posate sono d’argento e riportano non solo il logo del Sexy Fish, ma anche una struttura che richiama le squame dei tritoni. Notevole.
Si comincia dai Sexy Sashimi. Tonno, kimchi non fermentato di cetriolo e peperoncino shishito. Nulla di incredibile da rilevare, la combinazione dei sapori funziona ma è davvero troppo scontata. Prevedibilmente spicy. Ciò che sorprende positivamente di questa prima portata è la tecnica impiegata. Tataki eseguita in modo inusuale. Il tonno dopo essere stato scottato e raffreddato come da cerimoniale, è stato riportato in temperatura grazie all’ultilizzo della salamandra. Una tataki indubbiamente hot!
Più vicine al seafood partenopeo le prossime due portate. La prima è un carpaccio di polpo, scalogno e vinagrette al lime e zenzero. Acido, rinfrescante e ben eseguito, decisamente smorza i toni del locale.
Sua maestà il cannolicchio, stavolta sospeso in una dimensione a metà tra il Giappone e la Korea, servito in versione tiradito con olio d’oliva, Gochujang miso e yuzu. Acido, piccante e sapido. Good job chef, intrigante e ben riuscito. Tecnica sudamericana, salsa koreana ed accenti giapponesi nella cottura nel brodo di miso e nello yuzu. Ottima idea, peccato per il coriandolo fresco. Troppo coprente.
Special of the Day: Yellowtail Sashimi Green Mandarin Ponzu & Jalapeno Salsa. Come può una preparazione rovinare una buona materia prima? Ipso facto. Troppo dolce e troppo piccante allo stesso tempo. La delicatezza di questo pesce meritava ben altro trattamento. Quì l’abbinamento delle componenti del piatto non è stato fatto sul campo ma a mio avviso è stato deciso a tavolino per giustificare con un nome affascinante il suo costo di quindici sterline!
Si sale però in un crescendo di sapori con le portate signature del Sexy Fish. Prima di esse è lo yakitori, lo spiedino tradizionale giapponese da bar, stavolta formato da cuori d’anatra grigliati e serviti con una leggerissima salsa teriyaki e sale al the verde matcha.
Eccezionali i Gunkan di Wagyu giapponese A4 proveniente dal distretto di Tajima, serviti con salsa al miso bianco e lamelle di tartufo nero Perigord. Gunkan inusuale in quanto non avvolto da alga nori ma da daikon marinato nel miso bianco. ,L’ accoppiata della carne al daikon è un classico, ma la qualità di questo Wagyu è indiscutibile, uno dei migliori mai assaggiato. Nocciolato, scioglievole, profumatissimo e delicato. Giusto il contrasto con la terrosità del tartufo nero. Giustificatissimo il prezzo di sette sterline al pezzo. Ne vale ogni singolo pound anzi, ogni singolo pence. Sublime.
Passando al sushi vero e proprio l’impatto non è dei più promettenti. Cosa mi ha colpito dei rolls meglio parlarne alla fine, diciamo che anticipando i tempi essi non rappresentano nessuna novità sconvolgente, anzi. Il California roll con surimi è decisamente anonimo.
Un pò meglio quelli con la tempura all’interno, sia lo shrimp tempura roll, che il soft shell crab roll. Giusto il punto di salatura. Nothing more.
Unico che si salva il Sexy Fish Roll. Avvolto nel daikon e nella carta di riso, ricorda uno spring roll vietnamita. Assenza di riso, solo verdure, germogli, coriandolo e filetti di pesce, tonno, salmone e branzino, all’interno. Giovane, elegante e sobrio. Un unicum nel panorama del Sexy Fish. Vale anche quì come sempre la regola aurea “Less is More!”.
Essenziale, sublime ed appagante il main course. Miso Glazed Sea Bass & Cauliflower Three Ways. Notevole la cottura del pesce. Intrigante il gioco di consistenze sul cavolfiore, cotto, crudo ed in purea. Astonishing, la presentazione con le posate disposte scenicamente a mettere in rilievo le loro forme. Il gusto non è sconvolgente, nè tantomeno ti cambia la vita. A trovare un grande bonus in questo piatto è la piena matrice all’ insegna del british fine dining: proteina eccellente e vegetable di completamento. Well cooked, perfectly seasoned, beautifully done. For me is a very good dish. Proprio un buon piatto. Ovviamente la sfida ed il confronto con Nobu nella cottura e glassatura alla salsa di Miso è evidente. Ah, peraltro Nobu ed il Sexy Fish sono vicini, quindi sono direct competitors.
Dolci veramente di livello. Molto scenici e ben eseguiti a partire dalle mini doughnuts, graffette, fritte e servite con una pannacotta cremosa allo yuzu e salsa al caffè e cioccolato. Goduriose e per nulla pesanti.
Non servono parole invece per descrivere il dessert speciale di Halloween. La mela stregata. Sfera di cioccolato, composta di mele e gelato al thè verde all’interno su terra di lamponi e cioccolato. Se non vi sembra ispirato da Tim Burton questo piatto allora ditemi voi cos’è. Fantasmagorico. Un po’dark gothic forse, però è esteticamente molto bello e credetemi quando viene incendiato dal maitre di fronte al cliente è ancor più sensazionale. Mesmerizing. Mesmerizzante.
La nuova creatura di Robert Caring sembra quasi gridare ai sette mari di voler essere guardata ed ammirata ed io non posso che trovarmi d’accordo con questa considerazione peraltro già avanzata da moltissimi. Ciò che ritengo personalmente è che la cucina sebbene non sia impressionante ha delle indiscutibili potenzialità tecniche, peraltro accentuate da una sala e da una location curatissima. E’ vero che con un tale investimento è difficile sbagliare, ma credo che in questo caso non sia stato sperperato un solo centesimo, anzi, tutto è in tema e perfettamente centrato. Non so se a Londra questo ristorante avrà vita facile, ma sicuramente in quanto club & restaurant esclusivo, ha una clientela di primissimo piano. Hanno una linea di caviale personalizzato e di tanto in tanto strizzano l’occhio all’Italia, sul menù c’è anche una “Japrese Salad”, una “Japanese-Caprese” in cui il Tofu ha sostituito la mozzarella. Insomma è un ristorante che vuole piacere a tutti. Ad ogni costo. Se il vero lusso significa eleganza e sobrietà al Sexy Fish il lusso è degenerato verso l’ostentazione più assoluta.
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