di Raffaele Mosca
Di nuovo il Vinitaly in tutto il suo splendore, con l’ euforia collettiva, la code e il trambusto,gli stand faraonici dei big e le regioni che fanno a gara a chi ha il padiglione più bello. Si respira quasi un’aria di normalità, ma qualcosa è cambiato rispetto alle edizioni pre-COVID: sull’onda della Special Edition, è stato rafforzato il focus su B2B e stampa, con una riduzione degli inviti e una cernita del pubblico all’origine che ha reso la manifestazione decisamente più vivibile e fruttifera (anche se qualche episodio poco decoroso c’è stato).
Importanti i risultati sul fronte delle presenze di professionisti stranieri: le statistiche diramate a fine manifestazione parlano di 25.000 operatori stranieri, pari al 28% dei partecipanti. Un record assoluto, sicuramente consolidato dallo spostamento a maggio del Prowein, ma legato anche all’ interesse sempre crescente per il vino italiano, che tiene botta anche in tempi guerra, pandemia, rincari delle materie prime e via dicendo. “Si è chiuso il Vinitaly che volevamo – riferisce l’amministratore delegato di Veronafiere Giovanni Mantovani in una nota – e non era nulla scontato. Abbiamo dato un primo riscontro dopo una lunga attività di ascolto e condivisione con le aziende del settore, e dato vita a un piano che troverà, progressivamente, pieno regime entro il prossimo biennio. Segnare il record di incidenza di buyer esteri in un anno così difficile sul piano congiunturale e geopolitico è tutt’altro che banale ed evidenzia tutta la determinazione di Veronafiere nel perseguire i propri obiettivi”.
Come sempre, c’era tutta l’Italia del vino in mostra, e, per provare almeno la metà delle referenze che meritavano, ci sarebbero voluti quaranta giorni anziché quattro. Qui di seguito sette vini bianchi fermi e frizzanti che ci sono piaciuti particolarmente:
I vini bianchi di Vinitaly 2022
Bossanova – Capsula Two Vino Bianco Frizzante
Per la serie “piccole cantine con grandi ambizioni”, un rifermentato prodotto a Controguerra, culla del vino teramano, da un gruppo di giovani musicisti diventati vignaioli biodinamici che abbiamo incontrato nel padiglione Vi.Te. Bene il Cerasuolo e il Montepulciano fatto solo in cemento, ma questo rifermentato da Passerina, Montonico e Trebbiano è una vera sorpresa. L’esplosione aromatica della Passerina – pesca gialla, erbe aromatiche, cenni tropicali – va a braccetto con l’energia agrumata del Montonico nel sorso sfizioso e disimpegnato. Vino passpartout, divertente e non banale, chiama l’abbinamento con salumi, pizza bianca o tartare di pesce.
Cerulli Spinozzi – Pecorino Cortalto 2018
Sempre Abruzzo e sempre provincia di Teramo, ma questo me lo fa assaggiare il presidente del consorzio Colline Teramane, Enrico Cerulli Irelli, al suo stand nel padiglione Abruzzo, tra i meglio organizzati di tutta la fiera. Quattro anni in bottiglia e il Pecorino acquista aromi complessi, inconfondibili di pesca giallona e mais tostato, ginestra, erbe aromatiche a iosa, senza perdere nemmeno un minimo di grinta acido-sapida. Per la cronaca, non si tratta di una bottiglia proposta casualmente, ma di un vino attualmente in commercio. “ Abbiamo deciso di tenere una piccola verticale in listino – spiega Enrico – in questo modo diamo ai bianchi il risalto che meritano”.
Riserva della Cascina – Malvasia Puntinata Gallieno
Dall’ Abruzzo al Lazio, per testare un autoctono bianco tra i più sottovalutati d’Italia: la Malvasia Puntinata, vinificata in questo caso da un’azienda ai confini del comune di Roma, a ridosso dell’Appia Antica e non lontano dall’aeroporto di Ciampino. La giovane proprietaria, Silvia Brannetti, la propone in due versioni per rendere l’idea del suo progresso nel tempo: la 2021, con passaggio in legno di una parte della massa, che spinge sul varietale del vitigno semi-aromatico – albicocca, nespola, fiore d’arancio – e offre un sorso ricco, avvolgente, che chiama i tonnarelli cacio e pepe; la 2020 più sottile e meno fruttata: ha perso un po’ di esuberanza aromatica e mostra qualche traccia evolutiva – idrocarburo, erbe officinali – che rende complesso e tridimensionale il sorso comunque ricco e goloso, da saltimbocca o petto di vitella alla fornara.
Monte delle Vigne – Malvasia Callas 2020
Sempre Malvasia, ma si va a Nord, tra le colline parmensi. Monte delle Vigne è un outsider in un territorio dove a farla da padroni sono vini frizzanti di poco conto. L’azienda ha investito molto sui bianchi e rossi fermi, ricavati da vigneti vecchi su pendii ben esposti. Callas è la punta di diamante della linea: da Malvasia di Candia in purezza affinata parzialmente in anfora, omaggia la più famosa cantante lirica di tutti i tempi, che si è esibita più volte al Teatro Regio. Ha un profumo integro e per niente banale – di erbe aromatiche e di pietra focaia ancor prima che di frutta estiva molto matura e caramella d’orzo – e un sorso altrettanto accattivante: dritto, diretto, garbatamente aromatico, salino al punto che, non sapendo nulla sul suo conto, lo si potrebbe scambiare per un vino fatto non lontano dal mare. Abbinamento? Culatello di zibello, il va sans dire!
Ca di Rajo – Piave Tai Iconema 2019
L’altra faccia del trevigiano, terra di Prosecco DOC e DOCG, ma anche di ottimi vini tranquilli. Il vitigno è il Tai Bianco – denominato Friulano all’altra parte del confine – proveniente da vigne centenarie allevate con l’antico sistema della bellussera, che prevede un sesto d’ impianto ampio e alto, con pali di legno collegati tra di loro e disposti a raggi. Una parte delle uve appassisce in pianta e un’altra, invece, viene vendemmiata in anticipo e posta su graticci. Il vino, poi, sta sette mesi in barrique, quattro in bottiglia, e al suo esordio, esibisce un profilo variegato: pesca sciroppata e uva sultanina, rosa gialla e lavanda, cannella, zenzero candito. Ha polpa e ricchezza fruttata importante, ma anche la giusta spalla acida che fornisce sostegno ad un sorso ben dosato in tutte le sue componenti. Un bianco da piatti importanti: baccalà e dentice mantecato su tutti.
Chapoutier – Ermitage Blanc Le Meal 2017
Un salto da Les Grand Chais de France, il colosso del vino d’oltralpe, per assaggiare i vini della nuova azienda cilena e qualche chicca dal catalogo d’importazione. Come questo bianco rodanese – da uve Marsanne, Rousanne e altri vitigni minori – di una vera e propria icona del vino francese. Un vino, Le Meal, che non teme il confronto con i grandi di Borgogna: straordinariamente stratificato nei profumi di miele d’acacia, pepe bianco, mandorle tostate, macchia mediterranea a tutto spiano. Coniuga cremosità e tensione in un sorso meraviglioso, caldo, mediterraneo e allo stesso tempo teso, profondamente minerale nel finale di estrema profondità. Chapeau!
Hofstatter – Gewurztraminer Konrad Oberhofer Pirschschrait 2008
La punta di diamante di Martin Foradori Hofstatter, il più pazzo e geniale dei produttori altoatesini. Dopo un assaggio dei suoi vini analcolici – pietra dello scandalo della kermesse – proviamo questo Gewurztraminer dalle vigne più vecchie del Maso Kolbenhof, affinato quattordici anni tra acciaio e bottiglia prima della messa in commercio. Qualunque pregiudizio sul Gewurztraminer sudtirolese – spesso tacciato di eccessiva aromaticità che ne limita la varietà espressiva – viene meno di fronte ad un naso che deflagra su toni di spezie orientali e mieli di ogni genere, resina, zafferano, mandorle tostate, un’idea di fondo di idrocarburo che, più che il traminer, richiama un grande Riesling Auslese della Mosella. Potrebbe rendere un’impressione di dolcezza e, invece, è completamente secco, anzi asciutto, verticale, salino e citrino nella progressione che esplode in retro-olfatto con una vagonata di erbe disidratate e di spezie. Definirlo “vino da meditazione” è banale e un po’ limitante, perché, se è vero che starebbe benissimo da solo, è anche vero che ha la grinta necessaria per dar man forte alla cucina di terra. La stagione non è quella giusta, ma, più avanti, la morte sua saranno i porcini e i tajarin al tartufo.
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