TERRE DEL PRINCIPE
Uva: pallagrello bianco
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
La sottilezza dell’annata 2004 fa molto bene ai rossi nati da grandi concentrazioni in vigna e in cantina ma è stata penalizzante nei confronti dei bianchi campani, in genere sempre prodotti in modo semplice e diretto, direi opposto, anche dal punto di vista mentale. Per questo abbiamo provato pochi bianchi eccezionali di questo millesimo complicato e fresco, piovoso e capriccioso e se per i rossi siamo fermi al 1999 come annata di riferimento, per i bianchi riteniamo essere stata la 2001 l’ultima vera vendemmia da incorniciare. L’aspetto del vino pù affascinante è l’artigianalità, ossia la non ripetibilità degli anni, per cui è facile essere smentiti dopo aver emesso con sicumera fallace affermazioni così apocalittiche. Ecco allora il 2004 di Manuela e Peppe vissuto come uno dei grandi vini bianchi di cui c’è un po’ di disponibilità in giro, la conferma che questo Pallagrello passato in legno va vissuto sui tempi lunghi. Lo abbiamo provato in verticale con la 2005 e la 2006 e dopo il Riesling Marcobrunn Erstes Gewachs 2007 Schloss Rheinartausen regalatoci da Giovanni Ascione per farsi perdonare il forfait alla Caravella di Amalfi, ed è senza dubbio il vino che ci ha colpito di più (di pari ovviamente al bordolese Chateau Clerc Milon 2000 Mouton Rotschild, ma questo è un altro racconto). Mentre nel 2005 prevalgono le note tostate del legno e il 2006 deve ancora distendersi verso i profumi terziari, il 2004 è apparso nel pieno della sua forma. Un meraviglioso bianco dai profumi intensi e persistenti di miele millefiori, frutta bianca sciroppata, un leggero tono avvolgente fumé, agrumato, speziatura fine e dolce, con un bocca fresca e matura, minerale, piacevolmente strutturata e dunque piena, lunga, con il finale in netto contrasto con l’attacco dolce grazie al necessario tocco amaro in grado di segnalare il termine del viaggio dentro il palato. Devo dire che è la prima volta che sono così coinvolto da un bianco che non sia Greco o Fiano: di questo bicchiere mi è piaciuta la complessità, il suo mostrare carattere con eleganza, il giusto rapporto tra l’espressione di un frutto curato in modo maniacale in vigna con l’uso dosato e indovinato del legno che lo arricchisce invece di banalizzarlo. Lo abbiamo speso sulla pasta con totani e patate della Caravella e ci auguriamo, cari amici, che voi ne possiate godere perché non scriviamo quasi mai di vini irraggiungibili se non per documentazione essendo un sito informativo di servizio per gli appassionati. Il Serole si candida ad essere bianco da invecchiamento se solo saprete aspettare con intelligenza e lungimiranza il manifestarsi dell’ennessimo miracolo campano: aspettare oggi è la cosa più difficile perché tutti si agitano, eppure è la più facile a pensare che si tratta quasi sempre di movimento senza dinamismo.
Assaggio del 28 dicembre 2006. Con molta sapienza enologica Manuela Piancastelli e Peppe Mancini propongono quest’annata durante alcune degustazioni e fanno bene. L’abbiamo incrociata ad una delle cene Slow e ne siamo rimasti più che soddisfatti trovando conferma per il terzo anno consecutivo del microclima particolare in cui si coltiva l’uva sulle colline caiatine perché il prodotto in bottiglia ha sicuramente sempre più struttura delle corrispettive annate dei bianchi irpini. L’uso del legno rispetto al 2003 ci appare più contenuto e il frutto, dopo questi mesi di elevamento del vino, riprende il sopravvento lasciando in sottofondo le note tipiche della barique: sicuramente al naso non è un bianco della tradizione campana, ma in bocca la mineralità e la freschezza ripropongono l’inconfondibile marker vesuviano. Rispetto alla vendemmia precedente questo millesimo appare più equilibrato e composto, per certi versi più naturale e al tempo stesso molto elegante: se dovessi portare qualcosa a tavola nel cenone di Capodanno, dove il mare umile della Vigilia diventa opulento e sfarzoso, ebbene porterei proprio il Sèrole. Lo abbinerei, grazie alla sua baldanzosa freschezza sostenuta dalla struttura, anche al classico zampone e lenticchie, e poi ancora ai paté e alle terrine, ai piatti di pesce strutturati con cernie e scorfani, ai primi di terra-mare oggi così di moda, ancora ai prosciutti e alla mortadella di prodiana memoria. Un bel prodotto insomma, la conferma del grande lavoro svolto con convinzione da questa giovane azienda ormai giunta alla terza raccolta che si conferma leader indiscussa del territorio grazie al rigore culturale e filologico capace di fare quel commercio ad alto livello che a noi piace tanto. Manuela e Peppe hanno sconfitto un nemico terribile e potente, insidioso e ben ramificato in provincia: l’invidia delle persone piccole e brutte, gli sgambetti anonimi dei vigliacchi, la voglia degli eterni secondi di distruggere chi primeggia in un settore. Per questo ad ogni sorso del loro vino noi ci compiaciamo di questa loro vittoria che è, in fondo, anche la nostra.
Sede a Castel Campagnano, contrada Mascioni
Tel 0823.867126 – 081.8541125
Sito: http://www.terredelprincipe.com
Enologo: Luigi Moio
Bottiglie prodotte: 30.000
Ettari: 3 di proprietà e 7 in affitto
Vitigni: pallagrello bianco, pallagrello nero e casavecchia
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