di Ugo Marchionne
Indubbiamente una delle esperienze enogastronomiche più divertenti del mio 2020 culinario. Serica propone un viaggio gastronomico lungo un’immaginaria via della seta che collega la Cina a Milano. La tradizione gastronomica italiana dialoga con la filosofia culinaria cinese grazie alla sensibilità dello chef Chang Liu, inventando così un nuovo senso del gusto che supera i confini geografici e racchiude il meglio che ogni terra può dare. I piatti proposti rappresentano l’unione tra le due culture, nella forma, negli ingredienti e nella tecnica. Il cibo visto come strumento culturale, che unisce nella diversità. Attraverso una cucina attenta alla stagionalità si concretizza un viaggio verso la cucina del futuro. Così si descrive il Serica di Milano, come un ponte spaziale fra due culture che si raccolgono nella tecnica e nella mano dello chef Chang Liu dando vita ad una cucina precisa e tecnica che sorprende per purezza e semplicità del gusto.
Per settimane e mesi interi dall’apertura è stato il ristorante di cui tutti parlavano a Milano. La formula originale, la proposta in goloso equilibrio tra Italia e Cina, aveva già conquistato i palati di parecchi meneghini in questo 2020 è divenuta ancor più matura, con ancor più grazia e raffinatezza. Il patron è Mauro Yap, trentenne cinese di seconda generazione, la cui famiglia ha già guidato diversi ristoranti di buon successo in città. E ha dimostrato la sua lungimiranza nello scegliere uno chef come Chang Liu, classe 1988 da Yangzhou, con una serie di esperienze interessanti nel curriculum. Uno stage al Noma, uno da Daniel Boulud, finalista per la Cina al S.Pellegrino Young Chef 2016 e tre anni passati nella brigata di Tokuyoshi a Milano.
Serica in Viale Bligny è compiutamente una delle esperienze gastronomiche più divertenti che si possano fare a Milano. Un concetto di cucina fortemente identitario che lambisce solo ideologicamente il sostrato della fusion per abbracciare invece la più degna definizione di contaminazione culinaria. Ecco Serica, la cucina di Chef Chang Liu è proprio questo, una contaminazione culinaria, bella e ragionata che attualizza la Cina e l’Italia in maniera assolutamente personale, restituendo oltre ad un meraviglioso esempio di integrazione culturale, mai troppo valorizzato, anche una grande attenzione a come due culture possono creare una perfetta commistione simbiotica nelle preparazioni e negli ingredienti. L’involtino primavera ripieno di erbazzone nella sequela degli assaggi di benvenuto è l’epitome di una cucina della gioia, del sorriso che dietro ha un pensiero più che mai evoluto e compiuto.
E dunque si comincia. In questo percorso alla scoperta di una contaminazione fruttuosa e profondamente intelligente di Cina ed Italia.
Sensazioni di Noma nella Capasanta in Tempura, Japanese A-5 Wagyu Beef, caviale, polvere di Liquirizia calabra e riso fermentato. Giochi di consistenze, fermentazioni, spezie, rotondità, acidità. Certamente il piatto più completo della proposta di Chang, per evoluzione e pensiero. Quanto di più lontano da un assemblaggio si possa trovare.
Tra Italia e Cina, il Bao di bollito di lingua e salsa verde e la piadina sfogliata al burro nocciola con caponata di verdure. Si affonda le radici negli street food popolari cinesi, il Bao ed il Gong You Bing, rielaborati in chiave tricolore con ironia e semplicità, pur non tradendo la vocazione stilistica raffinata ed evoluta dello Chef.
Immensamente spettacolari i due “primi piatti” o quelli che noi definiremmo tali. A partire dal meraviglioso Spaghetto al Granchio con Pomodorini Confit, Zenzero e Shao Xin (un liquore cinese).
Le sensazioni sono quelle appunto che restituirebbe la versione italiana del piatto, così ottimamente eseguita, anche se l’idea di un piatto di Crab Noodles di Shanghai è forte nell’immaginario dello chef e viene resa dallo zenzero e dai profumi balsamici delle spezie e del liquore che viene nebulizzato sul piatto. Estetica minimal da applausi.
E si passa dunque al “Riso alla Cantonese”. Nonostante il nome in italiano, esso in realtà non è originario della città cinese di Canton, ma invece di quella di Yangzhou (nella provincia cinese del Jiangsu), uno dei più antichi centri della cucina huaiyang: in cinese questo piatto è infatti chiamato riso fritto di Yangzhou.
Da ciò emerge dunque la vera natura del suo essere, non gli ingredienti, ma il tipo di cottura che i giapponesi definirebbero Yaki, fritto o bruscato nell’apposito tegame. L’interpretazione di Chang? Beh semplice, funghi e salsiccia all’italiana e Chinese five spices. Assolutamente fulminante. Per godibilità e leggibilità probabilmente il miglior piatto della degustazione.
Altrettanto buone le Ribs, succulente ed ottimamente laccate.
Interessante ed inaspettato il gioco delicato sul finale del “Gelato Fritto”, in realtà gelato di patate arrosto con Agedama di Tempura a dare croccantezza, una parentesi veramente interessante. Una provocazione ottimamente riuscita quella di Chang Liu che si diverte e fa divertire, trasformando un simbolo di un certo tipo di cucina cinese intesa all’italiana, in un piatto raffinato e sorprendente, giocato al millimetro sull’equilibrio dolce/salato.
Conclusioni
Serica è davvero un punto molto molto alto della scena culinaria milanese. Il trittico formato da Chang Liu, Mauro Yap e Alfonso Bonvini, vero protagonista della sala nonché riferimento assoluto in fatto enologico, dal garbo e dalla cultura smisurata, è una formula che funziona sia in sala che in cucina. La cifra gastronomica di Serica è attuale, giovane, moderna e spregiudicata, uno spaccato di integrazione e sviluppo verso il futuro di cui Milano ha bisogno, ora più che mai. Un piccolo microcosmo quello di Serica in cui forma e sostanza di due paesi così lontani eppure così vicini si fondono insieme in un percorso inesplorato e mai banale.
Viale Bligny 16 – 20136 Milano
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