Gennaio, è ora di pensare alla trasferta meneghina verso Identità Golose, il primo congresso di cucina d’autore d’Italia ideato da Paolo Marchi e organizzato da Magenta Boureau. La quattordicesima edizione si terrà dal 3 al 5 marzo, come di consueto al MiCo, come tema avrà “Il Fattore Umano”.
E’ tempo dunque di guardare il programma e selezionare le lezioni imperdibili.
Lo scorso anno il mio posto in prima fila è stato per Mark Welker, l’executive pastry chef del gruppo Make It Nice di proprietà di Daniel Humm e David Guidara che vuol dire andare all’ascolto di chi gestisce il reparto dolci dell’Eleven Madison Park, ristorante al primo posto nella World’s 50Best 2017 e del The Nomad, ristorante e hotel di lusso.
La mia prima all’Eleven mi aveva molto colpito, per la bontà dei piatti ma anche per quell’organizzazione precisa e al contempo rilassata, per il rigore e l’ordine in un contesto da sembrare quasi informale, un mix che porta come conseguenza il benessere completo degli ospiti.
Come perdere allora l’occasione di approfondire la loro conoscenza attraverso la lezione del capo pasticcere, colui che per antonomasia regge il reparto in cui maggiormente regna la precisione, la forma e la sostanza.
Giovane, allegro e comunicativo, Mark Welker è a capo di oltre trenta pasticceri e si presenta nella sala di Identità Golose con un assaggio il brezel al cioccolato. Ispirato alla città di provenienza. Si tratta di brezel tritati e mischiati con cioccolato bianco a cui si ridà la forma originaria, in miniatura, prima di ricoprirli di cioccolato. Visitando il ristorante li troverete serviti con del brandy di mele americano.
Subito una localizzazione geografica precisa “Li serviamo perché il ristorante si trova nel cuore di Manhattan, nel parco dove normalmente si mangiano i brezel. Il nostro obiettivo è far sentire le persone a New York, che avvertano il luogo. Partiamo da questo concetto per raccontare una storia“. Spiega durante la lezione. “Sono quattro i principi che ispirano il nostro lavoro, quello di tutti gli chef del gruppo. I nostri piatti devono avere delle specifiche caratteristiche, oltre ovviamente a quella di essere deliziosi che però non basta. Per essere nostro, un piatto, deve aderire alla nostra visione“. Continua così Mark. “Deve avere senso, deve essere bello, deve avere sapore, deve essere creativo. L’invenzione di ogni piatto avrà dunque una storia, e una vita propria. Frutto delle menti di un reparto creativo che si occupa di ricerca e sviluppo“.
Il senso, questa caratteristica mi colpisce, perché è quella che cerco di fronte ad un piatto creativo e su questo invito i giovani cuochi a soffermarsi.
Oggi siamo in un momento storico in cui tutti si proclamano chef ma poi non si trovano cuochi per lavorare in contesti professionali e avviati. Aziende serie che magari non richiedono propriamente doti geniali da “inventori di piatti” ma quelle del professionista a cui spetta di seguire una linea aziendale. Quando si crea un piatto e si pretende di “farlo mangiare” desiderando magari che per questo i clienti siano disposti a spendere anche per un viaggio, la prima domanda da porsi è: ha senso?
All’ Eleven Madison Park non c’è spazio per l’ego, ma per il lavoro di squadra. Si crea ponendosi prima delle domande e, avere senso, qui significa anche essere aderenti al territorio. La scelta è netta, si servono solo piatti elaborati con ingredienti prodotti nello stato di New York. Non è scontato e non è banale nella capitale del mondo dove ogni cosa si trova con facilità estrema. Non ci saranno agrumi e non ci saranno frutti esotici nel loro menù perché di sola importazione. Questo spinge ancora oltre le forze e le menti dei pasticcieri. Lavorare secondo questi principi significa che nel tempo si sviluppa identità e unicità. Una concretezza che è un rispetto verso i propri clienti e forse il segreto, semplice, di un grande successo.
Il giovane chef diventi padrone della tecnica ma prima di avviarsi sulle strade della creatività ad ogni costo sia certo di fondare il proprio percorso su basi solide. Mettere da parte la voglia di essere protagonisti e ragionare assecondando il cambiamento, riflettendo sulle critiche e osservando il mondo e il tempo in cui viviamo. D’altronde solo ponendosi molte domande sul proprio lavoro senza innamorarsi delle proprie idee si ha la strada spianata per emergere dal coro.
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