di Raffaele Mosca
L’errore è stato fatto a monte: pensare di poter imitare la Borgogna e non capire che, se il Pinot Nero gode di una certa popolarità, è proprio perché riesce ad essere trasparente al terroir. Un’incomprensione che ha portato ogni produttore italiano che abbia piantato il vitigno a cimentarsi in rincorse insensate e prendere bastonate, alimentando il pregiudizio secondo il quale il Pinot Nero in Italia non riuscirebbe a trovare una patria d’elezione. Da qualche tempo si cominciano a trovare bottiglie che sconfessano tutto questo e che rivelano un’altra verità fondamentale: mentre in Borgogna i grand cru del Pinot Nero si trovano al centro della collina, da noi la varietà si acclimata bene nei luoghi estremi dove le altre uve rosse fanno fatica. Funziona bene, per esempio, a Mazzon in Alto Adige, dove la parete di roccia crea ombre mattutine e favorisce l’incanalamento nei venti, oppure su vigneti che superano gli 800 metri; in zone dimenticate della Toscana come il Casentino o il Mugello e, a più sud, in piccoli fazzoletti che si distinguono dal resto per caratteristiche geologiche e climatiche. Tutti luoghi che, per quanto circoscritti, possono rappresentare il futuro della viticoltura in Italia, perché offrono condizioni favorevoli anche in tempi di riscaldamento globale. Non è detto che, con la corsa verso l’alto, non si vengano a creare dei veri e propri distretti del Pinot Nero ad alta quota.
La degustazione organizzata a Roma dagli amici di Vinodabere in occasione della prima edizione de L’Italia del Pinot Nero ha messo in evidenza un’ eterogeneità espressiva molto interessante: mettendo da parte l’Alto Adige, che sembra finalmente virare verso una maggiore uniformità stilistica, ogni terroir sembra dare un accento diverso all’uva, anche se, poi, il filo conduttore lo si trova in una delicatezza tannica quasi insolita per le nostre latitudini. Sorprendente vedere come le espressioni piemontesi virino quasi verso il Nebbiolo con profumi relativamente austeri e tannini insolitamente incisivi, mentre i toscani mostrano un quarto di terrosità in più. L’unico Friulano evidenzia una fluidità di beva quasi da bianco e il campano ha profumi totalmente inaspettati, ma poi lascia emergere il carattere varietale al palato. Più che con dei grandi Pinot Nero, si ha la sensazione è di avere a che fare con dei grandi vini che rendono bene l’idea del luogo di provenienza, trascendendo i soliti canoni borgognoni. Il discorso dei prezzi, poi, è tutto a loro vantaggio: di Pinot Nero buoni che costino davvero poco non ne esistono più a livello mondiale, perché i costi di gestione del vitigno non sono mai bassi, ma questi qui non si avvicinano nemmeno lontanamente alle quotazioni dei grandi di Borgogna. Il più economico dei sei che mi hanno colpito di più viene circa 25 euro, ovvero meno di un banalissimo Bourgogne Rouge di produttore medio-scarso. Il più costoso è nella stessa fascia di prezzo di un village medio-buono o, scomodando altri territori in cui il vitigno ha avuto fortuna, di un’etichetta di qualità medio-alta – ma non di punta – dell’Oregon o di Central Otago in Nuova Zelanda.
I sei Pinot Nero italiani da non perdere:
Bricco Maiolica – Langhe Pinot Nero Perlei 2021
L’azienda si trova a Diano d’Alba e produce anche Barolo. Il proprietario ci dice subito: “ dalle nostre parti il Pinot Nero sa sempre di Langhe, soprattutto nelle annate calde viene molto simile a un Nebbiolo”. La 2021 non è caldissima, ma il vino è decisamente “nebbiolesco” tonalità di ribes, pastiglia alla viola e un’idea leggera di tartufo. Il tannino è abbastanza asciutto e incalza un sorso altrettanto territoriale, con una progressione energica tra fruttini freschi, erbe essiccate e un ritorno balsamico. Alla cieca non avremmo detto quasi sicuramente Nebbiolo, ed è proprio per questo che ci affascina!
San Salvatore 1988 – Pino di Stio 2021
Un altro vino anomalo da tutt’altra zona: siamo a Stio, nell’entroterra cilentano. Le vigne si trovano ad oltre 500 metri d’altitudine, sono circondate dal bosco e insistono su di un suolo molto calcareo. Il naso è decisamente bizzarro e molto mediterraneo: più vicino al Grenache che ai Pinot con il suo mix di erbe spontanee, frutti molto scuri e accenti affumicati in crescendo. Al sorso, però, troviamo qualcosa di abbastanza raro in Campania, ovvero un tannino più incisivo rispetto a quello di un Piedirosso, ma meno asciutto di quello dell’Aglianico, abbinato a un frutto molto delicato e a un tocco vegetale che allunga la chiusura prolungata e di bellezza pulizia. Il prezzo è allettante – sui 25-28 euro – e il divertimento assicurato!
Ornina – Ornoir 2020
L’Apppennino toscano sta diventando il territorio d’elezione del vitigno nel centro Italia. Diverse le referenze meritevoli in zona: questa di azienda biodinamica e non interventista trasuda identità regionale, con un incipit selvatico e di sottobosco che fa un po’ Sangiovese, seguito da ciliegie, erbe balsamiche e qualche idea floreale. Un po’ scapigliato al sorso, non elegantissimo, ma dotato di spessore e incisività, con un finale che mette insieme connotati varietali e un tocco autunnale che rimanda subito alla zona d’origine.
La Genisia – Oltrepo Pavese Pinot Nero Centodieci 2021
Passiamo ad una zona classica per il Pinot Nero. Anzi, ad essere onesti, l’Oltrepó Pavese è il secondo luogo più importante per la varietà in termini quantitativi dopo la Borgogna. Il grosso delle uve viene utilizzato per fare spumanti, ma ultimamente stanno cominciando a farsi notare anche le versioni ferme. Questo di La Genisia ha un timbro intrigantemente scuro, con un accenno selvatico e un pizzico di pepe nero che precedono more, ciliegie poco mature e un soffio balsamico. Succosissimo in bocca, con un tannino delicato, volume palatale consistente, ma anche tanta freschezza di fondo che calibra una progressione dai rimandi balsamici e appena terrosi.
Komjanc – Collio Pinot Nero Dedica 2018
Il Collio non è di certo il primo territorio che viene in mente quando si parla di Pinot Nero. Eppure questo di Komjanc ha un profilo quasi classico: gentile ed elegante di acqua di rose e gelatine di fragola, sandalo e un tocco di caffè, straordinariamente giovanile per avere già sei anni. La mano bianchista si fa sentire anche in bocca, dove la dinamica è leggera e spigliata, com il classico fruttino rosso al centro, tannino quasi impalpabile e un finale rinvigorito da un guizzo salino. Per 25 euro in e-commerce è un affare da non farsi scappare!
Plonerhof – Alto Adige Pinot Nero Riserva Limited Edition Riserva 2019
Per una volta – una sola – il Pinot Nero più strabiliante nella sfilza degli altoatesini non viene da Mazzon, ma dalla conca di Merano, dove Erhart Tutzer, viticoltore e vivaista venuto tragicamente a mancare in un incidente con il trattore, ha piantato barbatelle provenienti da uno dei domaine più celebri di Borgogna. Sarà anche per questo che il naso porta subito da quelle parti: la stratificazione di caffè, spezie orientali, rosa, tè nero e felce riporta a Nuit Saint Georges e dintorni. La bocca, invece, è altoatesina al 200%: larga, carica di frutto, ma con acidità alpina che l’attraversa e rende un senso raro di equilibrio e vitalità. Tannino shiatsu, finale lungo, perfettamente coerente con il naso. Chapeau!
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