di Sara Cordara*
Se durante un congresso di nutrizione italo-americano ti senti dire che all’estero il nutrizionista collabora con lo chef già da diversi anni in maniera impeccabile, e che noi italiani arriviamo sempre dopo perché abbiamo le gambe corte, scusate ma controbattere mi sembra il minimo sindacale.
Da nutrizionista e da italiana, dico che essere accusati di avere spudoratamente copiato dagli americani il concetto di “cucina salubre” mi sembra un tantino esagerato. L’attenzione verso un’alimentazione sana a 360°, coinvolgendo chef e figure sanitarie non è certamente una novità per noi.
Gli americani invidiano le nostre abilità in cucina e fanno di tutto per schiacciarci, ormai è risaputo, sarà l’inconfondibile charme che mettiamo nei nostri piatti, sarà la preparazione didattica e accademica o sarà che noi, italiani veraci, siamo sostenuti da una storia culinaria solida e ricca di tradizioni. Oppure, sarà che siamo semplicemente bravi a cucinare. Mentre loro seguono all’unanime un filone di assurde diete come quella dell’omogeneizzato o di Hollywood, noi, nonostante varie influenze del processo di globalizzazione, abbiamo il vantaggio di seguire la dieta mediterranea, l’unica a essere equilibrata e bilanciata nei vari nutrienti quali proteine, grassi, carboidrati, vitamine e sali minerali.
Inizio 2013 ricordo la notizia della famosa catena di fast food McDonald’s che voleva a tutti i costi inserire nei propri menù l’insalata di pasta di una nota azienda italiana. Un singolare abbinamento italo-americano. Ci vogliono, ci desiderano e poi ci vociferano alle spalle malignamente.
Chef e pasticceri italiani, negli ultimi anni si sono circondati di chimici e perfino di architetti per ricercare la perfezione e l’armonia delle forme dei loro piatti. Ultimamente però, scontrandosi con un consumatore e con una clientela sempre più esigente e attenta a cosa mette nel piatto, hanno iniziato ha collaborare con altri professionisti come appunto dietologi e nutrizionisti.
Le testimonianze di questo binomio vincente non mancano di certo, anzi vi racconterò la mia cercando di non essere troppo tediosa.
Alcuni mesi fa mi contatta lo chef di vaglia, Gianni Tota proponendomi uno show cooking assieme. Così, non nascondendo un po’ di scetticismo presi la palla al balzo, pensando che uno spettacolo gratuito e in un luogo pubblico come un grande centro commerciale, in cui lo chef prepara determinati piatti sotto la mia supervisione e descrizione, sarebbe stato un giusto canale per educare la gente, e soprattutto in un contesto non troppo serioso e rigido. Da lì in poi, io e Gianni facciamo coppia, ormai da oltre un anno. Abbiamo dato un taglio salutistico a questi mini show, studiando prima le ricette, le combinazioni alimentari e mantenendo in auge le tradizioni del nostro Paese, per la preparazione di piatti semplici e versatili in una qualunque cucina.
Il binomio chef – nutrizionista piace e funziona, proprio perché il cliente si sente davvero cullato e bersagliato di attenzioni. Le persone si fermano e ascoltano, i bambini chiedono, assaggiano e imparano senza fare fatica. Questi show cooking educano e informano contemporaneamente, facendo riscoprire alimenti antichi e ormai dimenticati in alcune nostre regioni, come i piselli selvatici Roveja o i lupini ad esempio. Questi ultimi sono degli sfiziosi legumi con pochi difetti e tanti pregi, non però da tutti conosciuti, sono infatti consumati quasi esclusivamente in alcune zone del sud dell’Italia, come spuntino o a fine pasto. In Italia, già da diversi anni molto ristoranti si affidano alla consulenza di un nutrizionista o di un tecnologo alimentare (anche appartenenti alle ASL di zona) per la scelta di menù per la prevenzione delle malattie cardiovascolari piuttosto che di altre patologie. Un altro esempio è rappresentato dalle scuole di cucina, sempre più attente a organizzare degli incontri pomeridiani e serali con temi che riguardano la salute attraverso il cibo. Mi viene in mente “ Cucina In ”, una scuola di cucina di Milano, in cui lo chef Gualtiero Villa organizza questi eventi da tempo appoggiandosi proprio a un nutrizionista.
Quando l’arte incontra la scienza, la cucina prende una forma più avvincente e coinvolgente. Un semplice piatto di “ pasta integrale con broccoli e curcuma “, con il supporto di uno specialista si traduce in un piatto di “ pasta di semola di grano duro integrale al 100% con il sulforafano e l’indolo 3 carbinolo dei broccoli e la curcumina della curcuma ”. I complicati nomi che ho scritto rappresentato semplicemente delle sostanze ad azione antitumorale scientificamente provata.
Bisogna nutrirsi con la testa, ho sempre pensato all’intestino come un secondo cervello, quella struttura cerebrale che comprende e che sa carpire quanto di sano può trasmetterci una pietanza. Non mi riferisco al concetto di tossicità, è ovvio che nessun ristoratore mette in tavola materie prima capaci di causare delle tossinfezioni o delle intossicazioni alimentari. Parlo piuttosto della puntigliosa scelta della qualità di un ingrediente piuttosto che di un altro.
Sono favorevole alla scienza e alla tecnologia, ma tutto ha un limite, cucinare utilizzando l’azoto liquido è spettacolare, lascia a bocca aperta chiunque, ma alla fine lo scopo è solo quello di stupire e basta. Sperimentare invece nuovi ingredienti in una cucina tradizionale, con il supporto di un nutrizionista, meglio ancora con una specializzazione in scienza dell’alimentazione, assume una valenza diversa. Anche il conosciutissimo zafferano, non solo accostato al classico risotto, ma aggiunto anche a pesci, carni, ortaggi o a una calda tisana, grazie all’abilità dello chef si trasforma in una spezia dalle mille proprietà benefiche per l’organismo: da quella antiossidante contro l’invecchiamento cellulare a quella contro i dolori mestruali passando per l’azione antinfiammatoria.
Porre sul menù l’apporto calorico e il contenuto di grassi saturi e di colesterolo dei singoli piatti non penso sia la soluzione più efficace ai problemi di peso corporeo e alle patologie metaboliche correlate, come un ex Ministro della Salute volle farci credere anni fa. E’ brutale da dirsi ma realistico: la gente al ristorante vuole solo mangiare in totale relax, piuttosto l’unica cosa a cui bada è il prezzo, e non certo se per proteggersi dalle malattie del cuore è preferibile la pietanza condita con l’olio piuttosto che con il burro.
Trovo più ragionevole agire a monte e con il supporto di uno specialista stilare le ricette, le varie combinazioni alimentari e scegliere il tipo e la qualità delle materie prime da proporre.
Nonostante i numerosi esempi italiani, ciò che mi fa sorridere sono alcuni importanti eventi e manifestazioni italiane incentrate sul food, che cercano disperatamente le testimonianze di chef e nutrizionisti stranieri, quando sarebbe molto più proficuo e sensato richiamare gli stessi professionisti, ma italiani. C’è infatti chi tifa e si stupisce di fronte a Jeremy Bearman
e Kristy Lambrou, rispettivamente chef e nutrizionista, coppia che gestisce splendidamente (su questo non c’è alcun dubbio) il ristorante Rouge Tomate di New York, senza guardarsi prima attorno e scoprire che in Italia questo binomio esiste già da tempo ottenendo un indiscutibile successo.
Concludendo, il mondo della ristorazione e del food più in generale, fa gola a tutti, l’unica certezza che per ora non vacilla. Sono innumerevoli e sempre più in costante aumento i professionisti che girano attorno alla figura del cuoco, per completarsi e arricchirsi reciprocamente. Una, che sono sicura si allargherà a macchia d’olio è proprio quella del nutrizionista, anche perché un regime alimentare corretto e sano ha indiscusse ripercussioni positive sulla nostra salute. Non è però soltanto un fattore preventivo: oggi molti autorevoli scienziati, confortati da evidenze scientifiche inoppugnabili, sostengono che il cibo possa essere una vera e propria terapia, in grado di contrastare efficacemente l’andamento di una malattia, e a volte addirittura di guarirla.
*Nutrizionista – specialista in scienza dell’alimentazione
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